Regia di Michael Mann vedi scheda film
Il film infonde cospicue dosi di inquietudine e di tensione appese a un filo. Dall'inizio alla fine sarà sempre più tirato ma il filo per quanto sottile non si spezzerà. Perchè il regista, Michael Mann, controlla abilmente la materia che descrive, costruisce una scena dopo l'altra con la massima cura per il dettaglio e per mostrare un insieme da ammirare come davanti a un'opera pittorica. Già dalle prime inquadrature: tagli fotografici coraggiosi, colori saturi e palpitanti, narrazione secca e precisa, Mann lavora sul contesto ambientale, tutto passa attraverso la dimensione scenica in modo così denso che riesce a mostrare anche quello che non c'è. Per un capofila del genere psicothriller qual'è Manhunter, si vede poco sangue, poca violenza esplicita, pochissima azione degna di nota, ma tutto quanto lo si percepisce, negli ambienti in cui i personaggi si muovono, qualcosa di invisibile si appiccica addosso e non si staccherà più fino alla chiusura della vicenda. Il personaggio meglio definito resta il serial killer, così ben caratterizzato e bene interpretato, in poche ma efficacissime sequenze. Il più discutibile è invece il protagonista, il detective incaricato dell'indagine, forte della cattura di un altro serial killer, Hannibal Lecktor (non ancora il Lecter di Demme) e capace di immedesimarsi nella mente contorta dell'assassino : talvolta risulta un pò troppo assuefatto alle proprie riflessioni fatte ad alta voce. Comunque nulla è in grado di nuocere alla rappresentazione scenica che rimane il vero asse portante del film. ( Demme anni dopo col fortunato "Il silenzio degli innocenti" sposterà nettamente lo sguardo dall'ambiente alla strutturazione dei personaggi, non per questo otterrà risultati altrettanto efficaci). Questione di scelta di linguaggi, di capacità figurative, di saper determiare lucidamente contenuti forti, disturbanti e la loro forza di penetrazione. Mann si conferma un maestro dell'estetica dell'immagine che però non è in nessun caso fine a sè stessa.
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