Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Un geniale preludio all'enciclopedismo surreale di "The Falls", di cui condensa, in meno di quattro minuti, tutta la provocatoria essenza pseudo-documentaristica. Ad essere sottoposta alla prova dell'assurdo è la mania scientista di classificare la realtà, catalogando gli oggetti reali per analogia di forma ed enumerando i fenomeni simili avvenuti in un certo intervallo di tempo: l'approccio fondato sull'osservazione empirica appiattisce, di fatto, la varietà del mondo, ne tralascia le sfumature e ne sbiadisce i colori, perché, contro il rigido schematismo dei dati, si frantuma tutta la magica poesia del creato, e svanisce anche il tragico mistero della vita e della morte. Le finestre - di cui le immagini del film propongono trasfigurazioni romantiche ispirate a Hopper e Magritte – nel rapporto statistico sciorinato dalla voce fuori campo sono invece una banale causa di decesso, per caduta accidentale, suicidio od omicidio. Le vittime sono raggruppate per età e condizione, gli eventi in base al periodo dell'anno e all'ora del giorno. Dentro questo scarno elenco mancano le storie, mancano le personalità, che pure esistono, e premono per farsi sentire: è così che, in mezzo a tanta uniforme e anonima aridità, riesce a farsi strada un dettaglio ribelle, un ricciolo di verità che sfugge a questa innaturale consegna della reticenza sulle vicende umane: uno dei defunti - scappa detto al commentatore - suonava il clavicembalo. Un fatto oggettivamente irrilevante, che è però, nella pellicola, l'unico soffio vitale, l'unico acuto di esistenza, e riesce quindi, per contrasto, a farci percepire quella sottile differenza, quel quid che distingue una canzone da una lirica, un racconto da una fiaba: è una goccia di quella pulsazione fluida che gonfia il tessuto dello scritto, trasformando le parole, da semplici segni sulla carta, a suoni tondi di un'artistica melodia.
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