Regia di Woody Allen vedi scheda film
La vera protagonista del film è New York, il cui volto è splendidamente fotografato da Gordon Willis e la sua voce è la musica di George Gershwin.
Manhattan è stato girato da Woody Allen nel 1979 in un insolito bianconero ricco di sfumature e di contrasti per merito di un eccellente Gordon Willis che ne cattura gli ambienti più significativi. La trama descrive il formarsi e il disfarsi di coppie di personaggi insoddisfatti alla ricerca di una stabilità che li possa appagare, ma che rimane comunque irraggiungibile. Il ruolo più positivo è quello di Tracy, la ragazza del protagonista Ike, l’unica coerente nella sua sincera semplicità. Allen dirige sé stesso e gli altri con partecipe leggerezza ed autoironia ed esprime le loro nevrosi per mezzo di dialoghi ricchi di argute osservazioni e pungenti battute.
La supremazia della città di New York sui personaggi è posta in evidenza dalla tecnica di inquadratura dei dialoghi eludendo spesso la classica regola del campo/controcampo (ma non nella scena finale in cui vengono allo scoperto i veri sentimenti di Ike e di Tracy): i personaggi sono a volte ripresi frontalmente con carrellate mentre camminano per le vie della città, o in un angolo o sullo sfondo di inquadrature che privilegiano l’ambiente rispetto alle persone oppure visti di spalle.
Nel film vi sono richiami ad altre opere, letterarie e cinematografiche; cito, ad esempio, la ricerca della frase iniziale del romanzo che Ike vorrebbe scrivere derivata da un personaggio de “La peste” di Albert Camus e la scena nel Planetario che con i suoi giochi di luce e di inquadrature mi ricorda la scena nell’acquario de “La Signora di Shanghai di Orson Welles.
Il cast è di alto livello: oltre ad Allen recitano Diane Keaton, Meryl Streep, Michael Murphy; Mariel Hemingway è forse un po’ acerba ma adeguata al suo personaggio.
Giudico Manhattan un film esteticamente pregevole e ben recitato la cui visione è piacevole, ma non riesco a considerarlo un capolavoro perché raffigura, anche se realisticamente, un ambiente di intellettuali al quale sono estraneo e i problemi dei quali non trovo coinvolgenti né in grado di suscitare emozioni particolari.
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