Regia di Nacho Vigalondo vedi scheda film
La fantascienza, in fondo, si basa su un'idea poverissima. Si tratta, semplicemente, di rendere possibile ciò che non lo è, concependo una storia coerentemente organizzata secondo la logica alterata di una realtà diversa. Per questo motivo l'autore appartenente al genere deve essere anche un po' scienziato. Nacho Vigalondo, con questo film, ricopre tale ruolo nella maniera più essenziale. La sua creatività non si esprime, infatti, tramite la temeraria invenzione di nuove fantasiose forme biologiche o di complessi congegni tecnologici: in Los Cronocrímenes la polimorfia dell'immaginazione si applica, anziché alla materia tangibile, all'elemento impalpabile e sfuggente per eccellenza, che è il tempo. In questo film, esso, per di più, viene ripreso nella sua veste quotidiana, in cui non è, all'apparenza, null'altro che una successione di operazioni ripetitive, pigre o distratte, che i minuti, in un soffio, si portano via. In questa storia non ci sono fenomeni fantastici, esseri mostruosi o favolose avventure, perché la spettacolarità è ridotta alla sua anima intellettuale e incorporea, che, in questo caso, è la pura genialità di un intreccio che riesce, simultaneamente, ad essere favorito e contrastato da un inedito e fortuito sfasamento della successione cronologica degli eventi. La compresenza, nella vita di Hector, di ciò che accade adesso e di ciò che è accaduto un'ora prima, dà vita a una ciclicità che confonde prima e dopo, causa ed effetto, e in cui ogni gesto cosciente vede coincidere spunto iniziale ed obiettivo finale: il protagonista, nella speranza di spezzare l'incantesimo ed uscire dal circolo vizioso, sceglie le azioni in modo da riprodurre le condizioni di partenza, che ha visto manifestarsi prima del nefasto incidente metafisico. In questa paradossale fusione tra motivazione e finalità, l'una rimanda quindi all'altra in un eterno vicendevole scarico delle responsabilità, che finisce per lasciare indefinitamente sospesa la necessaria spiegazione del perché. Il principio risultante è una sorta di determinismo del déjà vu, che decide gli sviluppi successivi in modo che si possano, in seguito, ricongiungere naturalmente a quelli precedenti: ciò si traduce in un vincolo narrativo estremamente rigido e difficile da mettere in pratica, ma che Vigalondo riesce magistralmente a sviluppare con l'aggiuntiva complicazione di una parziale sovrapposizione tra passato e presente, che sostituisce, di fatto, il cerchio chiuso con una curva a spirale. In questo capolavoro lo spirito del low budget si avvinghia tenacemente all'essenza del pensiero, spremendone a forza il succo più sostanzioso e profondo: è così che l'acrobazia concettuale sposa felicemente la semplicità, e la tranquilla esistenza di un uomo medio - comodamente seduto in giardino sulla sdraio, mentre la moglie è andata a fare la spesa – si traduce, senza epocali sconvolgimenti, in una sfida all'ultimo sangue con l'evidenza del buon senso e la razionalità della consuetudine.
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