Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Devoto alla violenza in ogni sua forma Michael Peterson, conosciuto poi con il nome d'arte di Charles Bronson (dal protagonista de Il Giustiziere della Notte), non riesce a tenere sotto controllo il suo egocentrismo e la brama di popolarità lo porta ben presto a commettere piccoli atti criminali talmente stupidi e insensati che gli aprono ben presto le porte della prigione e che, violenza dopo violenza, trasformerà nel suo palcoscenico personale portandolo a diventare il carcerato più famoso d'inghilterra e, quindi, a quella notorietà da sempre così disperatamente ricercata.
In realtà Bronson è una biopic piuttosto atipica in quanto il regista Nicolas Winding Refn è più interessato a un'opera simil-concettuale sulla metodica trasformazione di un individuo in una celebrità ma filtrandola attraverso la sua stessa mente (malata) e approfondendo gli aspetti espressivi di una personalità artistica che però si sviluppa unicamente attraverso la violenza (fisica, ma non solo) perpetrata sugli altri.
Refn trasforma la vita del protagonista in quadri astratti, esteticamente ineccepibili e con un impatto visivo notevole anche grazie ad una cura maniacale per ogni dettaglio, dalla scrupolosa scelta dei colori a quella particolarmente ecclettica della musica (che varia dai Pet Shop Boys e New Order a Verdi e Wagner) aiutato in questo da un istrionico e camaleontico Tom Hardy, mattatore unico e superlativo soprattutto quando, ipertrofico di muscoli e pazzia, dimostra tutta la potenza del suo narcisismo malato.
Mettendolo su un palcoscenico a raccontare la sua vita il regista mostra tutta la sua simpatia per il personaggio, cercando, a scapito invece di altri, di mostrarne gli aspetti più interessanti o, volendo, più "artistici": quello di esteta e di pittore o appunto di narratore/scrittore di se stesso.
Arguto e istintivo artista della violenza, moralmente ambiguo (la sua morale ad esempio non prevede assolutamente l'omicidio), Bronson più che un semplice criminale appare infatti come un anarchico ribelle, incapace di relazionarsi in modo concettualmente "normale" con il mondo esterno, che riesce a rielaborare se stesso trasformando la prigione in un palcoscenico delle proprie gesta, che riadatta attraverso una sua personalissima "percezione" impendendogli di annichilirlo (cose che invece non gli riesce, ad esempio, con gli istituti per malattie mentali) e che diventa invece un luogo di esternazione della propria personalità, una raffigurazione contorta della propria esistenza e performance delle proprie capacità artistiche: ogni nuovo carcere è un'audizione, un nuovo set, un nuovo dipinto o una nuova maschera da creare/scolpire/mostrare per colpire/sorprendere/spaventare il pubblico e per convertire così un'esistenza piatta e disillusa in un'altra, forse anche famigerata, cinica o spaventosa che dir si voglia ma comunque personalmente indimenticabile o, quantomeno, degna di essere raccontata e, soprattutto, ricordata.
Anche attraverso il cinema.
VOTO: 8,5
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