Regia di François Ozon vedi scheda film
Cineasta discontinuo ma dalla poetica marcata, François Ozon con Il rifugio (suo penultimo film) va idealmente a concludere una trilogia cominciata con Sotto la sabbia (2000, a tutt’oggi, suo capolavoro) e proseguita con Il tempo che resta (2005). Identici gli argomenti: elaborazione del lutto, un serrato confronto con l’idea e la realtà della morte, il rapporto difficile tra coloro che (soprav)vivono alla perdita, le riflessioni sulla maternità e la paternità, quest’ultima affrontata da personaggi omosessuali. Il rifugio del titolo è quello al mare dove si ritira Isabelle Carré, incinta, dopo la morte per overdose del compagno Melvil Poupaud (protagonista del Tempo che resta, e non è un caso). L’arrivo del cognato Louis-Ronan Choisy (l’attore è anche autore della colonna sonora) turberà il suo già precario equilibrio. Scocciano, del cinema di Ozon, certe forzature simboliche, alcune figure troppo scritte ed esemplari (per esempio la donna che si fomenta parlando di gravidanza sulla spiaggia) ma bisogna riconoscergli un talento truffautiano nel saper descrivere stati d’animo solo attraverso il rapporto uomo-natura (il mare, ancora...). Bellissimo il finale: un’immagine di tenerezza e pace che si riallaccia alla locandina del Tempo che resta, rendendo concreto il desiderio di padri veri anche se putativi.
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