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La mandragora

Regia di Henrik Galeen vedi scheda film

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La recensione su La mandragora

di giurista81
5 stelle

Tratto dall'omonimo romanzo di Hanns Heinz Ewers, una sorta di Edgar Allan Poe teutonico di inizio novecento, Alraune (da noi “La Mandragora”) è considerato uno dei canti del cigno dell'espressionismo tedesco. A metà strada tra fantascienza e opera del terrore, si parla infatti di una giovane donna la cui nascita è stata pianificata da uno scienziato che pratica una sorta di primordiale inseminazione artificiale che rende la protagonista un qualcosa di diverso rispetto al c.d. homunculus. I temi, tuttavia, sono quelli propri del filone decadentista e delle creature generate da un mad doctor, esseri condannati all'infelicità e disposti a tutto per vendicarsi contro chi li abbia concepiti. Qua al posto del mostro abbiamo un'attraente donzella che ammalia e porta alla disgrazia tutti coloro che si innamorano di lei, perché non riesce ad amare nessuno. Rispetto al romanzo di Ewers, tuttavia, il film diretto dal celebre Henrik Galeen, che ricordiamo sceneggiatore di Nosferatu, Il Gabinetto delle Figure di Cera, “Il Golem” e del suo sequel ufficiale, gioca maggiormente sulla componente sentimentale delineando i contorni di un amore malsano tra la protagonista e il suo ideatore. La Mandragora, in altri termini, non può essere definito un film del terrore, piuttosto un'opera perversa. È pur vero che vi siano momenti dark in cui, in momenti diversi, i propositi di omicidio animano sia Alraune che il suo creatore (il Prof. Brinken). In particolare, Galeen sposa le lezioni di regia e fotografia di Murnau nelle sequenze in cui la giovane Alraune (l'ottima e seducente Brigitte Helm, fresca di Metropolis) medita di strangolare chi ha pianificato la sua venuta al mondo. Vediamo infatti il continuo gioco di ombre che si allungano sui muri, così vediamo apparire la sagoma delle mani piegate a mo' di artiglio che entrano in campo sul petto del voluminoso Paul Wegener (celebre per la sua interpretazione nei panni del Golem). Per il resto, è una pellicola assai lenta e lunga, per l'epoca, che dosa oltre il minimo le didascalie e si caratterizza per una frettolosa prima parte (viene del tutto saltata la nascita e l'infanzia di Alraune) del tutto sbilanciata in considerazione della troppo insistita parte centrale (dove assistiamo alle fughe di Alraune e alle sue esperienze in un circo itinerante). Assai meglio l'ultimo terzo di film dove fa capolino uno spiccato erotismo, seppur (nonostante la svergognata locandina) castrato dall'etica dell'epoca e neppure marginalmente comparabile a quello del romanzo.

Sfarzose le scenografie, buone la fotografia e soprattutto le prove recitative. È considerato, forse un po' troppo esageratamente, un capolavoro.

 

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