Regia di Atom Egoyan vedi scheda film
Chaterine è convinta di essere tradita quindi decide di ingaggiare una giovane prostituta per far sedurre il marito, metterlo alla prova e farsi raccontare i dettagli dei loro incontri.
Chloe è il remake non dichiarato di Nathalie di Anne Fontaine del 2003 con Fanny Ardant, Gérarde Depardieu e Emmanuelle Béart . Questi corpi nel bel film di Atom Egoyan sono sostituiti da quelli di Liam Neeson, Julianne Moore e Amanda Seyfried. La differenza rispetto all’originale è l’uso proprio dei corpi messi al centro di un dramma fatto di solitudini e distanze che sembrano irraggiungibili.
Chloe (Amanda Seyfried), con la sua spregiudicatezza e il corpo burroso scivola all’interno della perfetta famiglia ultraborghese e ricuce quelle distanze arrivando a toccare e provocare fratture nella solida intelaiatura sociale che lega i coniugi tra loro e il loro figlio, la cui appartenenza ad un mondo esclusivo è rappresentata dalla loro casa ultramoderna, un’elegante gabbia di vetro che impedisce il contatto tra gli esseri umani, così come lo studio di Chaterine/Julianne Moore, ginecologa, è asettico e trasparente e la sua conoscenza del corpo si è piano piano asciugata in una meccanica professionale priva di alcuna emotività.
Quando questa gabbia si incrina l’erotismo erompe risvegliando in Chaterine sensazioni sepolte sotto anni di convenzioni, abitudini e buone maniere. Julianne Moore e Amanda Seyfried non si risparmiano in questo senso regalando duetti di sensualità saffica molto efficaci, perfettamente giustificati e svuotati da qualsiasi pruderie. La condizione voyeuristica nella quale sono relegati è invece tutta dei personaggi decisi quasi inconsciamente a non subire la prigione dello sguardo tentando di rendersi disperatamente desiderabili, raggiungibili e manipolabili. Il guardare e non toccare che sta alla base delle perfette unioni della cellula base della società, la famiglia, è una condizione che viene estesa ai componenti della famiglia stessa. Vetro, pareti riflettenti, computer, sono simboli di incomunicabilità lenita dalle apparenze, dalla sicurezza degli oggetti e dello status, delle abitudini ma che come braci covano una profonda insoddisfazione e frustrazione. Quando però la follia fa capolino ecco che l’intero gioco si sgretola sotto le false verità che hanno messo in moto la storia.
In “Chloe” i richiami a Chabrol e la sua autopsia del corpo morto borghese sono palesi così come l’intera costruzione della vicenda ricorda le trappole e la suspance di Hitchcock nell’avviluppare i personaggi in una rete via via sempre più stretta fino alla risoluzione finale. Quello che è assolutamente personale è invece la messa in scena di Egoyan che ritrae i suoi personaggi in eleganti inquadrature di profonda densità pittorica in cui i particolari hanno una profonda valenza sia estetica che psicologica. Attrici meravigliose su tutte Julianne Moore che offre generosamente un nudo disperato alla telecamera e che ammanta la sua persona di tutti patemi e le paure giustificate dall’età. Il terrore di non essere più desiderabile, il declino, la giovinezza che sfuma nel ricordo e si ricompone nel seno pieno di Chloe e la necessità fisica di avere un pretesto per essere di nuovo oggetto di desiderio, anche sostituendosi al marito. Cose che la Moore è capace di riassumere anche solo in uno sguardo colto con empatica leggerezza del regista. Di più non si può dire.
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