Regia di Silvio Soldini vedi scheda film
Due amanti. Lui della “Calabria Saudita” e lei del Nord. Si sfiorano, coprendosi, e affidandosi alla semplice regola dell’attrazione, per la quale non vi è alcuna legge morale, sociale o economica che tenga. Tuttavia, c’è quel qualcosa in più nel nuovo e, finalmente, bel film di Silvio Soldini, ritrovato dopo il non riuscito Giorni e Nuvole (2007). Quel qualcosa é da rintracciare in tutto il mondo che ruota intorno ai personaggi di Cosa voglio di più, ch’è fatto di reale situazione sociale, così come pochissimi registi italiani la sanno ancora raccontare.
Infatti, del film di Soldini stupisce fortemente la (ri)presa del reale: il racconto di un matrimonio inteso come una sorta di ingabbiamento, ben reso attraverso i chiaro scuri all’interno delle quattro pareti domestiche. Qui ci sono i problemi che appartengono, adesso anche al cinema: il lavoro, non solo di chi non ce l’ha o l’ha perso, ma anche di coloro che, pur avendolo, non arrivano alla fine del mese. In questi stessi ambienti, saturi di mal di vivere e di parole non dette, fra quelle stesse piccole crepe, che si fanno spazio col tempo, insorge sempre quel desiderio primordiale, che non è mai razionale e scontato. Così accade che Anna finisce tra le braccia di Domenico, già padre di due bambine e lavoratore precario. E’ lei che disinnesca una sorta di rottura con tutto ciò che fa parte del precostituito: il lavoro e la sua mancanza, il matrimonio e la sua consistenza, la felicità dei figli. E questi sono sempre e gli unici a pagarla. Sulla propria pelle. Eppure loro, veramente, meriterebbero “qualcosa in più”.
Soldini, non lascia ardere semplicemente i suoi personaggi né al fuoco delle passioni, né tanto meno nel vento. Opera una vera e propria presa in diretta dei suoi personaggi, che vivono la clandestinità di un amore che si nutre di bugie, tradimenti, incomprensioni, litigate telefoniche, perdizioni e propositi. Il regista pedina i suoi amanti, seguendone i passi, le mosse e le carezze sui loro stessi corpi. Si affida a interpreti eccezionali, un Pierfrancesco Favino che già conoscevamo così intensamente coinvolto (omosessuale in Ozpetek, mafioso con Placido) accanto all’ormai prova della maturità dell’eccellente attrice Alba Rohrwacher, una delle migliori giovani attrici nel panorama cinematografico italiano, capace di mettersi in gioco e ‘in corpo’, in un ruolo del tutto nuovo per lei. Non escludendo assolutamente Giuseppe Battiston, della cui bravura ormai siamo abituati.
Una commedia, un dramma sociale, ma anche un mélo, tutti ‘ingredienti’ che saporiscono una sceneggiatura molto ben scritta, da Soldini insieme alla pugliese Doriana Leondeff e Angelo Carbone. Entrambi, come fossero pittori, non hanno al centro della loro attenzione l’interno di ciò che hanno raffigurato, ma il loro sguardo è sulla tela, che intorno, crea spazio, tridimensionalità e tempo alle figure. Capita anche di incrociare i bruschi stacchi, tipici di un certo cinema europeo, che non rallentano mai il tempo. Semmai dilatano quel desiderio e quella voglio di qualcosa in più, che sta sempre al di là della nostra immaginazione. Il raggiungimento è lo spazio vitale.
Giancarlo Visitilli
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