Regia di Jason Reitman vedi scheda film
Tra le nuvole è una discreta commedia drammatica da non sopravvalutare.
Clooney ha, indubbiamente, la faccia giusta per offrire le migliori referenze al lavoro più ignobile che ci sia (un lavoro che, nondimeno, apre nuove - altrui, beninteso - prospettive). Reitman lo sa e (almeno all’inizio) la sfrutta a dovere. Il ritmo serrato e deciso, d’altronde, non consente ripensamenti o sensi di colpa. La prima mezz’ora del film, dunque, (sci)vola via (sul solco della dromomania del protagonista) che è un piacere. Ma mentre si riflette - fra un meccanico rituale quotidiano e l’altro - sulle contraddizioni del Sogno americano (che, al crocevia della propria esistenza, non sembra più così luccicante e promettente), l’estetismo amorale del protagonista (Ryan Bingham/G.Clooney) viene messo in discussione su due fronti (la minaccia dell’obsolescenza nel mestiere e quello sentimentale: lao) che incrinano fortemente i protocollari equilibri della narrazione.
Reitman (nelle vesti, altresì, di sceneggiatore) deve aver avvertito la latitanza di un po’ di svenevole romanticismo e, quindi, pensa bene (anzi; male) di confezionare anche una stiracchiata, “galeotta” love-story fra il baldo protagonista ed una sua “simile” (quanto ad abitudini lavorative e modo di pensare) nel segno del più tradizionale sentimentalismo spiccio.
A guastare (quasi irrimediabilmente) le (opposte) aspettative coltivate dall’incipit del film sembrerebbe pensarci, peraltro, un ulteriore “elemento di disturbo” (Stuntman Miglio), ovvero il personaggio interpretato da A.Kendrick, le cui avventure sentimentali - unitamente alla sua “contagiosa simpatia” (racchiusa in una contraddizione comportamentale: più cinica del buon vecchio George quando si tratta di tagliare le teste, eppure grillo petulante - forte del recente superamento della fase puberale - allorquando si presenta l’occasione di dispensare consigli non richiesti) - “entusiasmano” l’intreccio narrativo al tal punto da indurre a prepararsi al peggio.
Per fortuna che il feeling fra Reitman ed un certo diffuso sdolcinato e posticcio buonismo (da tipica commedia hollywoodiana) non è mai stato particolarmente vivace, sicchè - defenestrato bruscamente, quest’ultimo, in una fredda serata di Chicago - il finale torna sui binari della commedia amarognola - quasi drammatica - in ragione di una nuova, malinconica consapevolezza (che matura tanto in Bingham/G.Clooney, quanto nello spettatore): ad ognuno il suo!
Mentre, per i pochi “fortunati” rudi uomini con i peli sullo stomaco che hanno la possibilità di godere dei vantaggi delle proprie elitarie mansioni (tipo l’ambita platinum card), la chance di un affetto duraturo non si può che rivelare una mera evasione (od una parentesi sentimentale, che dir si voglia), per quegli uomini e quelle donne che devono malauguratamente avere a che fare con i primi (sì da scoprire di dover ricominciare da 0, a 50 anni) non rimane che una certezza (la famiglia come spazio placentare nel quale rifugiarsi dai mali della società: barabbovich), forse, un po’ più consolante.
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