Regia di Jason Reitman vedi scheda film
Gli standard recitativi di George Clooney sono sempre stati medio-alti. La prestanza fisica, il sorriso un po’ furbetto, lo sguardo simpatico e sornione, una mimica facciale predisposta alla commedia, e capacità notevoli anche nei drammi. Non so se quella di “Tra le nuvole” sia la performance migliore. So che il suo Ryan Bingham (“tagliatore di teste” esterno che irrompe a sconvolgere le vite di impiegati non più consolidati) è un personaggio che rimane.
Lo sguardo smarrito sul tabellone delle partenze in aeroporto, in una delle scene finali, è un bagaglio che ci porteremo dietro per un bel po’, divisi tra la voglia di cambiar vita e l’improvvisa compilazione di un bilancio esistenziale, irriguardoso come un pugno in faccia. Clooney argina le esagerazioni e ci fa fremere con toni più delicati.
Semmai quello che viene meno nel dipanarsi delle vicende è il registro della scrittura, ora improntato verso un’analisi sociologica sulle implicazioni della crisi economica e la perdita del lavoro, ora freddo maestro di situazioni sentimentali, pronto a scagliare qualche freccia di Cupido di troppo. Cede a qualche convenzione e bazzecola da teen movie, pur rimanendo decisamente sopra la media per la concisione di alcune parentesi che ritraggono in modo spietato la situazione di persone licenziate in tronco per davvero.
L’instabile Nathalie (la non esaltante Anna Kendrick) è il personaggio che rende insolita la vicenda: giovane perfezionista in carriera dall’apparente corazza di ferro, si sbriciola al primo confronto con la realtà, immaginata fino a lì solo sui testi universitari. La “co-pilota” Alex (un’attraente e plausibile Vera Farmiga) è l’equivalente femminile di Ryan: vive con la valigia in mano, immune a ogni sentimento, proiettata verso quella miriade di assemblee, riunioni, incontri di lavoro che si tengono in ogni angolo degli Stati Uniti.
Il triangolo dei protagonisti andrà incontro a una delusione, chi per un motivo chi per un altro. Le aspettative, tanto importanti nel voler raggiungere il massimo in carriera, dovranno passare attraverso il confronto col resto del mondo: la teorica e beata solitudine avrà a che fare con l’ammiccante sorriso che fa girar la testa più dell’altitudine (la vita è meglio in compagnia?), l’immarcescibile studentessa con l’impossibilità di adattare il carattere al lavoro assegnatogli, e la filosofia della scappatella con una love story imprevista.
Perché lo scopo delle nostre vite è assimilabile alle operazioni che si fanno quando si riempie uno zaino: sta a noi decidere se e con cosa farcirlo. Ogni giorno. L’importante è rimanere “up in the air”, possibilmente perfezionando l’equilibrio tra aria pura e riciclata, alimenti genuini e artificiali, un mortale sguardo sorridente e il silenzio pressurizzato di hostess servizievoli. Non dimenticando che fare le code e avere molte chiavi in tasca sono zavorre inevitabili.
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