Regia di Jason Reitman vedi scheda film
A volte il cinema ha curiosi poteri perfino sulla tua psicologia e sui tuoi comportamenti. E allora può capitare che la visione di un determinato film ti cambi la giornata. A me è capitato ieri con questo film. Chiedo scusa se indulgerò su aspetti personali, ma è per descrivere il contesto in cui ha avuto luogo la visione. Come ognuno può constatare, stiamo vivendo un inverno particolarmente rigido e soprattutto generoso di precipitazioni nevose. Chi mi conosce sa che una delle catteristiche primarie che segnano la mia personalità è un profondo e totale ODIO verso il fenomeno neve. Essa arriva al punto di incidere negativamente sulla mia psicologia, al punto di rendermi nervoso nella migliore delle ipotesi, e in quella peggiore addirittura di farmi precipitare nella depressione, bloccando praticamente ogni mia attività fisica e mentale e facendomi rinchiudere in me stesso. Ebbene, se considerate che ieri mattina mi sono svegliato reduce da una copiosa nevicata, potete facilmente immaginare che il mio spirito era quello di un microbo. Ma per fortuna che esiste il Cinema, mio rifugio e salvezza. E dunque nel tardo pomeriggio, verificata l'agibilità delle strade, e non senza prima aver spalato un pò di fottutissima neve (cosa che detesto!) sono partito per una prima visione che si annunciava lieta. Potere del Cinema. Sono tornato a casa la sera che ero del tutto un'altra persona, soddisfatto per aver visto una bellissima pellicola. Quella visione mi aveva ridato la serenità, scacciando i residui cattivi pensieri, nonchè la cupezza che da sempre la neve mi induce. Davvero una pellicola godibile il nuovo lavoro di Jason Reitman, uno di quei film che divertono, non ti annoiano nemmeno un istante e ti fanno riflettere sui comportamenti e la psicologia delle persone. Reitman si conferma regista dall'intuito assai felice, e considerando la sua giovane età egli può sicuramente vantarsi di aver già al proprio attivo tre film uno più valido e godibile dell'altro. Ricordo con particolare affetto quel curioso film che era "Thank you for smoking" con un formidabile Aaron Heckart, per non parlare poi di "Juno", che ha fatto incetta di premi e riconoscimenti un pò ovunque, e che è già un "cult" per parecchi appassionati di cinema. Si tratta di tre pellicole assai diverse tra loro, che comunque condividono il tocco leggero ma riflessivo e mai banale di Reitman, il quale pone in evidenza alcuni aspetti dell'America di oggi, aspetti che finiscono per assumere valenza universale e coinvolgere anche gli spettatori europei. Diciamo che lo sguardo disincantato di Reitman sulla attuale società americana è riconoscibile nell'ottica del miglior cinema indipendente statunitense, e dotato di quello spirito "agrodolce" che distingue spesso le opere che transitano dal celebre festival "Sundance". Questo film in particolare, in realtà è distribuito da una major come la Paramount, ma la sua "anima" è indiscutibilmente quella di un prodotto indipendente e tale è l'aria che vi si respira dall'inizio alla fine. L'aria di un film che racconta situazioni divertenti ma che, attraverso l'evolversi sapiente di un'ottima sceneggiatura, finisce col declinare lievemente verso una malinconia di fondo che avvolge piacevolmente lo spettatore, non tralasciando una lettura attenta della triste deriva di fenomeni sociali quali la solitudine, la comunicazione reale e virtuale fra le persone, l'incapacità di comunicare con sincerità le proprie emozioni; il tutto sovrastato da quell'autentico spettro sociale che è la DISOCCUPAZIONE. Ma prima di entrare nel vivo della vicenda, vorrei fare un passo indietro aprendo una piccola parentesi che si collega alla filmografia di Reitman. Ciascuno ricorderà chi fu che in definitiva si giovò maggiormente del successo di "Juno", la sceneggiatrice Diablo Cody, che conquistò grande notorietà divenendo sicuramente uno dei personaggi più "cool" del momento anche grazie ai suoi leggendari trascorsi di spogliarellista. Ebbene, se giudichiamo tutto ciò oggi, a freddo, non possiamo evitare di imbatterci in qualche perplessità. Il film successivo a cui Diablo Cody diede il suo contributo creativo (il penoso "Jennifer's body") non solo si rivelò un clamoroso flop, ma soprattutto fu giudicato dalla critica come uno dei peggiori film mai visti. Ora, io ritengo che da tutto questo un modesto insegnamento lo possiamo trarre. 1) Innanzitutto la signora Cody fu esageratamente sopravvalutata da critica e media (sprecata quella copertina fiammeggiante sul mensile "Rumore"), troppo frettolosi nel metterla sotto la luce dei riflettori. 2) In realtà lei si beccò fama e premi quando in effetti (ora lo possiamo dire) il merito della riuscita di quel gioiellino di film andava attribuito a Jason Reitman in percentuali molto superiori, rispetto alla nostra "spogliarellista cool". Ma torniamo al film. Si tratta dell'analisi di un mondo che a molti di noi era prima ignoto, o quasi. Le grandi aziende americane, tutte coinvolte in una profondissima crisi che le ha costrette a riorganizzazioni e a drastiche riduzioni del personale, si avvalgono della collaborazione di società di intermediazione le quali forniscono uomini formati e addestrati all'unico fine di comunicare a una moltitudine di poveri cristi che da quel giorno loro saranno a spasso. E' evidente che si tratta di situazioni altamente drammatiche. Se noi pensiamo a queste persone, per lo più oltretutto in età avanzata, quarantenni-cinquantenni, ebbene possiamo intuire quali abissi di disperazione si schiudano davanti ai loro occhi, questa è gente (con mutui da pagare, bollette, affitti, cure mediche e quant'altro) che si vede crollare il mondo addosso. E vedendo questi "fighetti" eleganti e compìti, che viaggiano da un capo all'altro degli USA per presentarsi ovunque col solito rituale e la solita postura per dire in pochissimi secondi a un tizio che da domani la sua vità sarà senza sbocchi, beh, la nostra prima percezione è definibile con solo vocabolo: CINISMO. Sì, perchè in tutto questo si respira una puzza di cinismo talmente acre da togliere il fiato. Quando senti questi "tagliatori di teste" dialogare fra loro, quando assisti ai loro seminari-conferenze, quando soprattutto senti come i loro superiori pianificano i programmi da svolgere, ti assale un senso di malessere che rasenta l'insostenibile. E ti chiedi come degli esseri umani possano, con tanta formale e disinibita leggerezza, decidere delle VITE DEGLI ALTRI, di tanti poveri diavoli cui con inaudita disinvoltura viene comunicato che..."arrivederci, per lei non ce n'è più, avanti il prossimo". Che malinconia, che squallore. Eppure le cose stanno così, realmente, e ahimè mica solo in America, anche se va detto che negli USA la crisi è stata particolarmente dura e i succitati episodi sono stati (e sono tuttora) frequentissimi. Il film ci presenta dunque questo Ryan il quale svolge impeccabilmente questa "bella" professione; personalità brillantissima e disinvolta, superfanatico delle carte di credito a livelli di puro feticismo, ma soprattutto un uomo che guarda tutto e tutti dall'alto del suo patologico individualismo, uno profondamente convinto di amare solo sè stesso, e di contare solo su sè stesso, insomma convinto di potersi "bastare". Gli altri? Dipende dai momenti. Poniamo il caso si avverta il bisogno di una compagnia femminile: si colgono le situazioni al volo. Come capita a Ryan quando per caso si imbatte in una collega che -quando si dice il destino!- esattamente come lui cerca l'avventura di qualche giorno, il rapporto senza problematiche noiose di sorta. Nel frattempo succede che a Ryan viene affiancata una giovanissima brillante stagista cui lui ha il compito di trasmettere tutto il suo bagaglio di esperienza. La ragazzina è evidentemente dotata, ma le manca quel "quid", quella dose necessaria di cinismo la quale fa sì che, quando dalla parte opposta del tavolo trovi un neo-licenziato che (giustamente!!) dà i numeri o scoppia a piangere, dentro di te riesci a rimanere una ROCCIA. La ragazza studia per diventare "cattiva" ma non ci riesce (e meno male!). Insomma, il nostro Ryan, da un parte non fa che battibeccare continuamente con la sua allieva che è troppo differente da lui, ma dall'altra si trova (che sorpresa per lui che non aveva mai concepito per principio nessun coinvolgimento sentimentale) a riflettere su quell'arrapante collega di cui si diceva prima, che il caso gli ha fatto incontrare. In pratica lui, detta come va detta, si sta pian piano innamorando, ma ignorando una questione non da poco: che la bella sconosciuta collega piombata nella sua vita da chissà dove, (e con la quale ha raggiunto una perfetta intesa sessuale), in realtà non gli ha mai detto nulla circa la sua vita privata. E, se ci pensiamo, è anche logico nell'ambito di un rapporto consumato da due elementi che non vogliono responsabilità. Dunque Ryan ha di fronte a sè due donne (la giovane stagista e la procace collega) che in qualche modo lo costringono -per la prima volta- a guardare dentro sè stesso. La vicenda prosegue poi attraverso i vari percorsi offerti da una ricca sceneggiatura (ivi compresi i movimentati preparativi di un matrimonio), per arrivare poi allo snodo finale decisivo, un fatto che implica per Ryan un "colpo di scena" durissimo, un vero trauma umano, morale, sentimentale. Tutto questo, lo posso garantire, narrato con una leggerezza felicemente contaminata da un retrogusto amarognolo che conquista lo spettatore e lo fa affezionare ai personaggi. Come in ogni film in cui la sceneggiatura (firmata a metà dallo stesso talentoso regista) funziona alla grande, si ha la percezione che chi ha creato quei personaggi, li abbia "scritti" con cura e soprattutto con amore. Chiudiamo con un accenno al cast. Su Clooney c'è ormai poco da dire che già non sia stato detto. Ad ogni sua nuova interpretazione (come del resto ad ogni sua nuova regìa) è sempre migliore (ma dove vuole arrivare quest'uomo?!). Vera Farmiga è la sua fascinosa amante, qui a suo agio, anche se confesso che non ho mai amato molto questa attrice. La rivelazione per me è stata invece la deliziosa Anna Kendrick (la stagista): che amore che è, incantevole quando sorride con quei suoi dentini da coniglietta...
Insomma un film che riesce a divertire e ad essere brillante pur nella sua deriva estremamente amara e riflessiva. Senza dubbio un film da vedere.
Voto: 10
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