Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Una prostituta, "Mamma Roma", messa da parte la somma necessaria, esce dal "giro", si stabilisce in una nuova casa ed acquista una licenza per vendere al mercato. Fa tutto questo per il figlio, che, lasciato per tanti anni a vivere a Guidonia, riprende con sè, con lo scopo di garantirgli un futuro dignitoso in un ambiente sociale migliore di quello dal quale proviene lei. Ma le cose non vanno per il verso giusto, il ragazzo è indolente, pigro, un po' prepotente ed infido e, a causa delle cattive compagnie trovate proprio in quell'ambiente in cui la madre ambìva a farlo crescere si mette in un guaio che gli costerà la vita. A nulla serve l'azione della madre, che ben presto torna ad essere perseguitata dal suo precedente "protettore": ne' con l'amore materno, ne' con blandizie o furberie lei riesce a salvare il figlio, che muore raffigurato come un Cristo sulla Croce, vittima di un destino prestabilito. Questa storia non vede alcun vincitore. I proletari protagonisti non accettano passivamente la malasorte: conoscono le difficoltà della vita, sanno destreggiarsi tra esse, hanno ambizioni condivisibili (rispettabilità, un modesto benessere); eppure, accomunati dalla natura delle loro origini e quasi puniti per il loro desiderio di cambiamento, sono destinati alla sconfitta. La madre torna ad essere sfruttata per strada; il figlio, portato via da un protettivo ambiente ancora agricolo, diventa un delinquentello di mezza tacca; lo sfruttatore, patito il fallimento del proprio matrimonio e di un ulteriore progetto (illegale), si presenta alla porta della protagonista per tornare a vivere alle sue spalle. Sceneggiatura ed ambienti sono ricchi di simboli. Il film è ambientato in un contesto che il regista conosce bene: la periferia sud-est di Roma, che ebbe un forte sviluppo dagli anni della Seconda Guerra Mondiale in avanti. Una distesa di palazzi-dormitorio, con strade ed altre opere urbanistiche appena abbozzate, intervallata da baracche, rovine romane (notevole il contrasto tra i due estremi), lembi di campagna incolta. Un ambiente straniante e spersonalizzante, in grado di spezzare antichi costumi di solidarietà tra povera gente. Lo stesso contrasto emerge nel rapporto tra la colonna sonora e gli eventi posti in scena. La musica classica è lo strumento con il quale il regista di rappresenta i suoi personaggi con connotazione sacrale, amplificando la drammaticità di alcune sequenze. Struggenti e dolorose sono le sequenze finali: la morte del giovane Ettore, vittima e complice di un destino già scritto, redento nel desiderare la madre ed il ritorno a quell'innocenza che possedeva finchè viveva nell'ambiente rurale; la disperazione della madre, una magistrale Anna Magnani, consapevole anch'essa dell'ineluttabilità della sorte ed impossibilitata nel trovare immediato oblìo anch'essa nella morte. Estremamente simbolico lo sguardo che lancia verso la Chiesa di Don Bosco in lontananza: esprime una speranza tradita, rassegnazione, consapevolezza. In questa sequenza, la Chiesa assume valori di trascendenza e spiritualità, non di umana istituzione, alla quale in precedenza la madre si era rivolta per il futuro del figlio, non ricavando alcun aiuto. Oltre ad Anna Magnani, perfettamente calata nel ruolo che le viene assegnato, è bravo l'attore che interpreta Ettore, un personaggio reso antipatico, incapace di comprendere quali e quanti sforzi fa la madre per il suo benessere, ma molto a suo agio nel mondo della spicciola delinquenza di borgata. Completano il quadro lo sfruttatore; la prostituta Biancofiore, incapace di spiegare anche a sè stessa i motivi della sua scelta di vita; Bruna, una ragazza inadeguata al suo ruolo di madre; una intera umanità dolente schiacciata tra ambizioni di emenda e l'essere predestinata alla sconfitta.
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