Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Mamma Roma (Anna Magnani) è una donna che ha trascorso un intera vita a battere la strada. Ora ha deciso di cambiare rotta e di dedicarsi assiduamente all'avvenire del figlio Ettore (Ettore Garofalo), un ragazzo cresciuto in pensione a Guidonia avuto da un avanzo di galera che la lasciò sola subito dopo averla sposata. Con i soldi che è riuscita a racimolare compra una casa nuova nei "casermoni" nati nella periferia romana e acquista la licenza per un banco di frutta al mercato. Il passato però è sempre in agguato ed ha la faccia di Carmine (Franco Citti), il vecchio uomo a protettore di Mamma Roma, che con ricatti di vario tipo la costringe a ritornare in strada per procurargli del denaro. Questo intralcia il rapporto proficuo che intende instaurare col figlio, un ragazzo che si scopre essere senza un mestiere, analfabeta e assai cagionavole di salute.
"Mamma Roma" segna uno dei punti più alti dell'analisi pasoliniana sul mondo dimenticato del sottoproletariato urbano, sulla diffusa e anche razzistica convinzione che la loro miseria non conosce soluzioni e sulla forza omologatrice della società borghese che tende a percepirli come i figli illegittimi di un benessere generalizzato. È il secondo film di Pier Paolo Pasolini e rispetto ad "Accattone" si avverte un uso più sapiente degli strumenti cinematografici (l'uso continuo dei campi e dei controcampi ad esempio) che servono a conferirgli, pur nell'utilizzo di quella "sgarbata" asciuttezza di linguaggio che gli consente di aderire con sufficiente realismo alla realtà sociale rappresentata, una migliore fluidità narrativa.
Come "Accattone", "Mamma Roma" è interamente ambientato nelle borgate romane, in quei nuovi centri di distribuzione della miseria cittadina che furono (e sono ancora in moltissimi casi) le periferie urbane nate dalle menti di urbanisti illuminati a partire dai primi anni sessanta. Ma mentre il primo è caratterizzato da un sostanziale immobilismo dei protagonisti, che di fatto li rende degli schiavi inconsapevoli del destino che gli è capitato in sorte, Mamma Roma coltiva l'ambizione piccolo borghese di migliorare la sua condizione sociale, di far emergere il figlio dalla miseria in cui è sempre vissuta. Non c'è nulla di male a rincorrere il desiderio di una raggiunta e piena integrazione sociale, ma questa strenua rincorsa rischia di diventare un ulteriore passaggio agl'inferi se non è accompagnata da una consapevole conoscenza della propria condizione esistenziale, se non è tesa al miglioramento principalmente etico di essa, se non si dà più importanza all'essere che all'apparire, all'essenza di un'identità umana finalmente libera dai ricatti della carne che alle forme indistinte di un ambizione desiderata. Ma, alla realtà di un emancipazione intellettuale, Mamma Roma antepone una falsa omologazione morale, l'adesione acritica a un modello sociale di cui conosce solo la patina esteriore di un perbenismo ostentato. È accecata dall'amore per il figlio e dall'odio per la vita e questo la porta con istintiva naturalezza a seguire un'altra strada, più semplice e più veloce, a maturare in se un malsano spirito di emulazione, quello che la porta a ritenere che basta un individuale spirito volontaristico per spostarsi dal mondo che si è imparati a disprezzare e indossare la maschera di una rispettabilità borghese meccanicamente percepita.
Ettore diventa la vittima designata di questo disordinato amore materno e, a una madre che nel vuole fare il mezzo per nutrire l'effimera sensazione di essersi emancipata dalla miseria, oppone l'istintiva adesione alla legge della strada, l'unica che conosce e che può ragionevolmente seguire, quella che lo porta ad affezionarsi di Bruna (Silvana Corsini), una ragazza che ha iniziato al sesso tutti i ragazzi di borgata, e a fraternizzare con una banda di perdigiorno. Entrambi portano le stigmate di una colpa inestinguibile, quella di essere nati nella parte dimenticata del mondo, dove è più facile ribellarsi contro la propria stessa natura che cercare le cause che mantengono tutto l'interesse ad alimentarla. Almeno due le sequenze altamente emblematiche : quella in cui Mamma Roma va dal prete (interpretato dallo scrittore Paolo Volponi) per chiedergli una raccomandazione di lavoro per il figlio (che lei gli otterrà in un importante osteria di Trastevere estorcendolo col ricatto al proprietario, un abituale puttaniere) e questi, dietro la frase "dal niente non si costruisce niente" riferito all'assenza di titoli di studi del ragazzo, fa emergere con forza la convinzione molto diffusa allora sull'irredimibilità dei "miserabili ; poi l'altra, quando in una notte di lavoro, in un momento di piena coscienza di se, dopo aver passato in rassegna le maledizini capitate a lei e a molti di quelli che ha conosciuto e everne appurata la necessaria natura ereditaria, Mamma Roma si chiede "de chi è la colpa" di questa miseria che ha finito per assumere un carattere antropologico ?
Oltre naturalmente allo struggente finale dove, al supplizio "cristiano" di Ettore su un letto di contenzione (nel chiaro richiamo al Mantegna), fa seguito lo sguardo infuocato di Mamma Roma rivolto verso la città eterna, simbolo di una società lontana e crudele.
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