Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Mamma Roma è una prostituta decisa a cambiare vita: vuole riprendersi suo figlio, trasferirsi in città e lasciarsi alle spalle il suo problematico passato che però è troppo ingombrante per essere nascosto sotto un tappeto di ipocrite apparenze e così la realtà, ad un certo punto, prende l’amaro sopravvento.
Mamma Roma è Anna Magnani, in una delle sue prove attoriali più imponenti, talmente imponente da ridurre la pellicola alla sua sola presenza perché quando lei in scena non c’è ciò che vediamo finisce per essere superfluo. Il girovagare sfiancante di Ettore, figlio ingrato e nullafacente della donna, che spesso occupa la scena è una presenza ingombrante e poco assimilabile, anche se sullo sfondo c’è una Roma rara da vedere.
Mamma Roma è Roma, mamma di ogni figlio degno e non, sempre pronta a farsi desiderare come la più rara delle ricompense ma capibile da pochi, irraggiungibile da ancora meno. Troppo grande da poter accogliere tutti ma allo stesso tempo talmente grande da non riuscire a realizzare i desideri di ognuno, ancor meno se questi desideri sono scaturiti da una mente proletaria ma hanno mire borghesi.
Mamma Roma, la prostituta, è disposta a tutto pur di salvare suo figlio dalla mediocrità, anche ad aggirare le regole pur di tenere in piedi la facciata miserabilmente costruita per credersi migliore del ceto societario a cui appartiene e che disprezza. La Mamma Roma di Anna Magnani è verace e sanguigna, potente e catalizzante, davanti alla macchina da presa irraggiungibile anche da Pasolini che la rende unica musa di una pellicola che la prende come riferimento unico e assoluto.
Il secondo film della straordinaria filmografia di Pasolini riprende i temi popolari della prima pellicola e tenta di guardarli più da vicino. All’arguto desiderio di una donna insoddisfatta della realtà a cui sa di appartenere ma tenta di tutto pur di non ammetterlo, immola un figlio innocente, rappresentandolo come il Cristo del Mantegna; vittima sacrificale di non guardiamo mai il volto sofferente ma di cui udiamo il genitoriale grido da cui scaturisce la sofferenza di una madre incapace di essere tale che si concretizza nello sguardo finale, sprovvisto e sofferto, che la Magnani regala alla camera.
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