Regia di Christophe Honoré vedi scheda film
Christophe Honoré è un regista che conosco poco ma che francamente, da quel poco che ho potuto vedere sino ad ora, non rientra certo nella cerchia dei miei "eletti" e neppure in quella dei “vigilati speciali” in attesa di promozione al ruolo di favoriti. Il primo (ed unico fino ad ora) suo film che ho visto prima di questo (che e’ anche l’ultimo, sino ad oggi, del regista francese) è stato “Les bien-aimes”, visto a Torino durante la passata edizione del TFF, accolto piuttosto bene dal pubblico in sala, ma a mio avviso catalogato, non senza un eccesso di severita’ da parte mia, come un fumettone ridondante e retorico sino all’imbarazzo (per eventuali dettagli rimando a recensione scritta in quella circostanza). In questo precedente film datato 2009, Honoré ritrova nuovamente Chiara Mastroianni (e in una piccola parte pure Louis Garrel, presenti entrambi in molta sua filmografia) e le regala il ruolo piu’ forte, interessante e completo della sua non trascurabile esperienza cinematografica, costellata di numerose apparizioni, ma un po’ troppo soggiogate nell’ombra ingombrante di una madre troppo onnipresente e famosa di nome Catherine Deneuve, per non parlare di quella piu’ discreta, inevitabile e piu’ naturale fornita da una somiglianza straordinaria e sempre stupefacente con il leggendario padre Marcello.
Qui in questo colorato melodrammone Chiara e’ Léa, una giovane madre di due bambini abbandonata dal marito e indaffarata a coniugare il suo impegno lavorativo di fioraia presso un negozio, con la gestione della famiglia, o di quel che ne resta. La seguiamo in particolare mentre torna a trovare genitori e i due fratelli nel Nord della Francia, per scoprire che madre e padre tentano di fare in modo che l’ex marito riesca a farsi perdonare e a tornare nel nucleo familiare spezzato. Ma le vecchie ferite non si possono dimenticare e le decisioni sul futuro non sono sempre rosee e scontate.
Nulla di assolutamente nuovo sotto il sole, ma la prova della Mastroianni brilla per intensita’ e spontaneita’, e pazienza se il regista riempie i tempi morti con favole o parabole folkloristiche in costume che servono solo ad appesantire un contesto gia’ un po’ ridondante e manierato; pazienza se certe inquadrature sono davvero imprecise e da principiante, con primi piani mozzati e traballanti; peccato che il cineasta non rinunci a trappole fastidiose come scene di passione tra i due vecchi genitori che suscitano piu’ rabbia ed imbarazzo che una certa inevitabile ilarità.
Insomma tante pecche che confermano come fondato un mio personale e soggettivo pregiudizio a pelle sullo stile registico manierato e talvolta insopportabile di questo cineasta; ma con una valida attenuante di una sfolgorante protagonista che sembra sostituirsi con una intensita’ palpabile al personaggio che deve rendere sullo schermo: una identificazione potente che rende il film senz’altro interessante.
E in piu’ mi piace sottolineare la bellezza sfacciata e quasi kitch di un titolo (“No figlia mia, tu non andrai a ballare”) che suona come un rimprovero severo e risoluto e che ben sottolinea come molti di noi, nel passaggio da figli a genitori, si ritrovino quasi costretti in un ruolo di vigilanza e di controllo che non gli si addice e che fino a poco tempo prima hanno subìto nell’interpretare il ruolo di figli in quel palcoscenico inevitabilmente improvvisato che e’ la vita.
Meravigliosa e struggente nel finale la voce di Antony (and the Johnsons) che intona la stupenda "Another world".
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