Regia di Mona Achache vedi scheda film
Non ricordi il suo nome. È un’ombra schiva acquattata dentro l’angolo buio di un palazzo, la figura di contorno in chiaroscuro di cui si dimentica subito il volto e la voce, ma familiare quanto il colore ovattato delle mura di casa e il vecchio zerbino sotto cui si occultano le prove dei vizi. Ha lo sguardo stinto e ceruleo, i capelli ammantati di polvere, modi schivi e burberi, e si tiene volutamente alla larga dal resto del mondo, da tutti fuorché da un gatto chiamato Leone e da stuoli di barrette di cioccolato fondente. Ma nonostante le apparenze, Renèe Michel è più di quel che appare, solo che “ha trovato il suo nascondiglio”, come svelano le parole lucide dell’unica persona che in quel microcosmo spazzato dal vento freddo e dalle occhiate impassibili dei condomini sembra capirla, una bambina dai capelli avvolti in una zazzera d’oro e dagli occhi trattenuti da spesse lenti, la quale nasconde a sua volta una disincantata e spiazzante volontà, più che istinto, di morte. Mediatore, tramite, galeotto soffuso e delicato del loro incontro è un misterioso signore giapponese che si chiama come un grande regista e nel cui bagno risuonano le note di Mozart.
Mona Achache firma un film piccoloe grazioso, sorretto da due interpreti, Balasko e Le Guillermic, ben in parte, da un interessante punto di partenza (quello di un libro ormai conosciutissimo ma difficile da mutare in sostanza filmica), e dall’azzeccata idea di trasferire la prospettiva dell’acuta undicenne sull’ambiente che la circonda dalle pagine del suo diario ad una cinepresa depositaria di quello che, nelle intenzioni iniziali, sarà il suo primo e ultimo film, e mediante il quale la ragazzina scandaglia senza pietà l’assurdità delle incostanti vite circostanti. È così che la regista esordiente può permettersi di spaziare da inquadrature subacquee ad immersioni in disegni che improvvisamente si animano, aggiungendo alla pellicola un tocco quasi magico (e il 'ritorno' del pesciolino lo testimonia).
Se dunque gli interpreti e alcune intuizioni registiche sono efficaci, la stessa cosa non si può dire, però, della sceneggiatura, che risente nel complesso di qualche lacuna ed incongruenza, soprattutto nel tratteggiare il personaggio della ‘portinaia colta’. Questo perché lo script si ferma proprio alla, pur ben fatta, superficie: non c’è un dialogo di vera introspezione, non c’è almeno una sequenza approfondita in cui finalmente questa cultura sopraffina, questa intelligenza emergano; giusto qualche citazione da Tolstoj (le cose vanno meglio con l’altra protagonista, Paloma). Un peccato, soprattutto considerato il fatto che è quello lo spunto geniale di un libro che si immagina, al contrario, ricchissimo di spunti e riflessioni brillanti.
La pellicola si riscatta comunque grazie a una manciata di belle scene, come quella (da prolungare) in cui Madame Michel, palpitante d’ansia e chiusa nella cappa fuligginosa dell’ascensore, scivola verso l’alto, cogliendo durante la sua salita scorci segreti di alcune delle lontane figure che popolano il condominio, giusto un attimo prima di entrare nell'ambiente domestico e indossare la loro maschera, ignare di essere osservate, e dalle quali lei si ritrova materialmente separata da alte sbarre nere.
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