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L'amante inglese

Regia di Catherine Corsini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'amante inglese

di petweir
4 stelle

Partire, dice il titolo originale che, come spesso accade, i nostri titolisti travisano. Partire, sì, ma per dove ? Se c’è un aspetto ancora più terribile in un film già tragico di per sé come L’amante inglese è che la protagonista, una Kristin Scott Thomas sempre più simile, anche per i ruoli che interpreta, a Isabelle Huppert, non si pone neanche il problema di una meta, di una fine. Si parte per andarsene, punto e basta. Andarsene dal noioso ménage famigliare borghese: una casa linda e fredda, un marito potente e distratto, due figli che non incidono mai nella vita. E’ l’amore l’unica possibilità di fuga per questa donna che non ha mai lavorato e si è persa le occasioni migliori della vita per provvedere alla cura dei figli. L’amore, che come capita in film di questo tipo, programmatici e schematici, non c’entra nulla con l’amore vero che è ben altro che una passione bruciante e irragionevole e va ben oltre l’istinto selvatico. L’amore è una storia fatta di tempo, di pazienza, di carità: insomma, come diceva proprio un connazionale della Corsini, Antoine de Saint-Exupéry, nel suo Piccolo Principe, forse il più grande romanzo mai scritto sull’amore, “E’ il tempo che tu hai perduto per la rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. Ecco: Suzanne, la protagonista, sembra aver perso un sacco di tempo dietro cose inutili; rincorre così, disperatamente, anche perché non più giovanissima, il tempo perduto nelle braccia dell’amante. E in nome di questo, di una passione irrefrenabile che sembra non lasciar posto per la riflessione o un giudizio, Suzanne distruggerà, letteralmente, tutto: il rapporto con almeno uno dei due figli, la storia con il marito, fino all’epilogo tragico e crudele. Curiosamente vicino per atmosfere, ma anche disperazione, al film di Soldini, Che cosa voglio di più, L’amante inglese vorrebbe riprendere, anche nella colonna sonora, alcuni titoli di Truffaut, come La signora della porta accanto ma da Truffaut è lontanissimo per stile, poetica e, verrebbe da dire, luce. Perché i film di Truffaut, anche i più tragici, erano percorsi da una luce, da un abbandonarsi a un amore che era vissuto, fuori o dentro il matrimonio, come un’esperienza totalizzante che sfidava il trascorrere del tempo. Per la  Corsini, l’amore è invece solo uno strumento, un’arma di rivincita contro un potere maschile, ben raffigurato dal marito, che costringe con il ricatto economico alla rottura di una relazione tra una borghese e un proletario, onta vergognosa per un uomo che ha sempre concepito la moglie come un oggetto non troppo diverso da un soprammobile e che verrà travolto da una donna che ha perso tutto di sé, compresa la propria femminilità, nel nome di un’idea dell’amore tanto astratta quanto violenta. Piccola postilla: è significativo che nei film in cui l’io è programmaticamente padrone di se stesso, delle proprie scelte, del proprio corpo, penso proprio a L’amante o Che cosa voglio di più, e non ci sia spazio non dico per la dimensione religiosa, ma per un amico, un confidente, l’amore sia visto come una forza irrazionale, un istinto cieco e spesso crudele contro cui non si può opporre alcuna resistenza. Come dire: in realtà, non si è padroni di nulla, si è solo in balia di strane forze oscure gestite dal Caso.

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