Regia di Laurent Tuel vedi scheda film
Il prologo ci rammenta subito che molti degli armeni di stanza in Francia sono gli eredi della forzata fuga dalla Turchia avvenuta all’inizio del Novecento. Quasi tutte brave persone, tranne qualcuno. Per esempio Milo Malakian (Jean Reno, monumentale come un Bene Culturale), boss di una famiglia che si è arricchita col malaffare. Ora è in Costa Azzurra, vive in una splendida e un poco decadente villa sul mare e ogni tanto si muove per qualche “colpo grosso”, giusto per rimpinguare i conti correnti degli “affiliati”. A dargli la caccia c’è un altro “classico”, lo sbirro duro e tutto d’un pezzo (Sami Bouajila: una bella faccia), incarognito con Malakian perché gli ha ucciso un collega, che era anche un amico. L’unico che non ha voglia di stare nei cliché è il primogenito di Milo, che si è innamorato di una bella infermiera e vuole metter su una specie di agriturismo, tra cavalli, sole, pace e serenità. La storia, insomma, malgrado la questione armena, è déjà vu allo stato puro. Ma il film si salvicchia perché il regista Laurent Tuel è ambizioso e si crede Michael Mann. Se ricorda qualcosa è proprio Heat e i suoi lunghi intervalli psicologici tra una sparatoria e l’altra. Essendo una coproduzione italo-francese, c’è spazio per una puntatina a Bordighera e un paio di nostri, diligenti caratteristi.
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