Regia di Samuel Maoz vedi scheda film
C’è ancora bisogno di film contro la guerra? Evidentemente sì, ma Lebanon non è solo una pellicola antimilitarista: non descrive la guerra, ci entra. Ci cala, per la quasi totalità del film, in quella sorta di tomba cingolata che è il carro armato, ossia un luogo angusto, buio, sporco, viscerale, insomma il ventre della bestia o la pancia del Leviatano. Vi sono rinchiusi quattro militari israeliani, di
leva, in missione in Libano nella guerra del 1982. La stessa ricordata (a fatica) da Valzer con Bashir di Ari Folman, solo un anno fa, e congelata in uno stallo
senza fine in Beaufort di Joseph Cedar del 2007, ambientato 18 anni dopo nell’ultimo forte rimasto in territorio libanese. Il buio e gli spazi chiusi, ovviamente, sono scelte stilistiche in qualche modo suggerite dalle ristrettezze del budget, ma ciò non toglie che la claustrofobia e l’oscurità in cui sono immersi Lebanon e Beaufort assuma toni asfissianti e allucinanti quanto gli incubi di Folman, dipingendo a fosche tinte il riemergere di un rimosso che ha lasciato cicatrici nella coscienza di una generazione, e facilmente estensibile, nella sua astrazione, al trauma di ogni guerra. L’idea del carro armato, va detto, non è del tutto originale, ricordiamo infatti Belva di guerra di Kevin Reynolds, ambientato dentro - ma anche attorno - a un tank russo durante l’invasione in Afghanistan. Maoz, il regista di Lebanon, è però più radicale: il mondo esterno ci è quasi precluso, visibile solo attraverso il letale mirino si fa sentire soprattutto per i rumori e gli scossoni che investono il carro, su tutti l’esplosione di un razzo che danneggia il mezzo e fa schizzare liquami neri e oleosi ovunque, disumanizzando personaggi a contatto con orrori e follia sempre crescenti e altrettanto attuali (si veda il discorso sull’uso del fosforo). Maoz eccede forse in veemenza all’inizio della pellicola, con una sequela di immagini shock per calarci subito in un clima infernale, ma in un’opera prima, oltretutto autobiografica, è davvero un difetto da poco.
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