Regia di Bobcat Goldthwait vedi scheda film
Mi sono avvicinato a questa black-comedy memore del caustico e politically incorrect God bless America (ingiustamente snobbato dalla poco lungimirante distribuzione nostrana) carico di aspettative ed incurante che ci fosse come protagonista il "bollito" Robin Williams ultimamente dedito a raschiare il fondo del barile in produzioni blockbuster "acchiappapubblico" di ben poche pretese artistiche. Bobcat Goldthwait non sarà un cineasta da festival, ma il punto forte dei suoi film sono appunto le sceneggiature al vetriolo e il suo modus operandi travestito da comicità edulcorata che entra a gamba tesa demolendo alla stregua di illustri predecessori del calibro di Solondz e Ozon (vedere rispettivamente Happiness e Sitcom) l'ipocrisia di fondo della società americana e in questo caso più specificatamente il concetto effimero quanto ipocrita di popolarità sia nel contesto scolastico che in quello malsano e prettamente commerciale quale è la speculazione del dolore da parte dei media. Lo fa quando racconta i labili legami familiari dei due protagonisti (il padre Lance, insegnante di liceo frustrato e suo figlio Kyle figura grottesca ed apatica interessata solo al sesso ,che sfoga la sua repressione in pratiche di autoerotismo estremo), e l'inadeguatezza nei confronti dei rapporti sociali/sentimentali con il prossimo inseriti nel contesto del liceo, minimo comune denominatore di altre pellicole innocue. e senza mordente. Affonda i denti quando fa inscenare a Lance il suicidio del figlio per coprire la vergogna di un tragico evento fortuito, inventandosi di sana pianta una lettera di addio che trasformerà inaspettatamente un 17nne mediocre e senza qualità, in un novello e profondo scrittore maledetto agli occhi dei compagni di classe e della comunità. La stessa comunità scolastica (che agogna un geniale e autodidatta Holden Caulfield 2.0) che malgrado tutto lo spingerà inconsciamente a scrivere un falso diario/romanzo e lo trascinerà in una spirale di menzogne da cui lui stesso rimarrà inebriato man mano che l'indifferenza nei suoi confronti si trasformerà in morbosa empatia e gli si paleserà indirettamente il tanto agognato successo letterario che rincorreva da una vita. A mio parere quindi questa opera di Goldthwait va ampiamente rivalutata e vi consiglio vivamente di dargli una chance alla prima occasione utile.
Regia asciutta, senza fronzoli di sorta... Nella seconda parte vari spunti da "videoclip generation" la fanno da padrone, e non è certo un male.
Praticamente la versione disillusa di John Keating de l' Attimo Fuggente, da rivalutare nell'interpretazione di un ruolo tragicomico: si discosta finalmente dalle solite caratterizzazioni finto buoniste di molte produzioni commerciali.
Protagonista nelle vesti di un personaggio tanto scostante da vivo quanto simpatico nelle trasfigurazioni mute che gli vengono affibiate dall'immaginario collettivo durante la sua beatificazione a nuovo Salinger in erba.
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