Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
Primo livello: sapersi destreggiare, primeggiando, nella giungla (d’asfalto e cinematografica). Christopher Nolan sa cosa voglia dire dirigere, ma soprattutto scrivere un film: il suo “Inception” è emozionante e tiene col fiato sospeso, ma soprattutto parte da un’idea di fondo geniale, come non se ne vedevano dai tempi di “Matrix”, rivelandosi vero elemento dissonante rispetto a tanta cinematografia stereotipata ed approssimativa.
Secondo livello: individuare una tattica vincente, e perpetrarla (anche grazie a Mr. Charles)… È la storia di Cobb, specializzato nell’entrare nella mente delle persone attraverso i sogni; a Cobb, che soffre ancora la morte della moglie Mal di cui è stato ritenuto l’assassino, viene data la possibilità di ritornare a casa dai suoi bambini se aiuterà l’imprenditore Saito ad interferire nelle strategie aziendali di Robert Fischer, antagonista di Saito: per farlo Cobb dovrà dare sfoggio di tutte le sue capacità di estrattore, creando un’idea piuttosto che rubarla; per farlo ingaggia una squadra molto determinata per entrare nel subconscio di Fischer.
L’idea di fondo, ossia penetrare la mente attraverso il sogno, è un’idea geniale; non tanto per l’intuizione in sé, bensì per la sua strutturazione, il suo sviluppo, i cardini della sua evoluzione (l’idea del “calcio”, inteso come quello dato col piede alla sedia in bilico del dormiente per farlo ridestare è splendida, perché verosimile e suggestiva al tempo stesso). Il film vive di questa intuizione e se ne nutre. Con l’idea (e con le sue implicazioni e le trame da esse derivate) buona parte del lavoro è già fatto. Guardando il film si ha la stessa sensazione provata alla prima visione di “Matrix” (e come per quest’ultimo, una seconda e magari una terza visione non fa che bene allo spettatore). Come per il film dei Wachowski brothers, si viene rapiti dal concetto di realtà parallela, di “mondo altro”, e delle differenze, delle scappatoie, della costruzione dell’identità di tale mondo: se ne gode appieno e ad ogni ganglio, ogni affastellamento ulteriore di un elemento su elemento, di informazione suppletiva, la meraviglia cresce sempre più. Certo dietro il film ci sono effetti sonori ed effetti speciali, fotografia e missaggio tutti da Oscar (nel vero senso della parola), ma è la sceneggiatura ed il soggetto che fanno la loro parte in maniera esplosiva. Oltre ad un cast di livello, ben amalgamato e completamente credibile. Per non parlare delle scenografie e dei costumi di tutto rispetto. Ma la scrittura, quella che manca a centinaia di altri prodotti contemporanei, qui esplode fin dall’inizio. Ed è un fulgore che non abbandona lo spettatore per tutta la visione.
Terzo livello: recuperare, magari in una clinica tra le montagne, le proprie radici. Oramai diventato il padre del miglior Batman di sempre (col quale molti oggi lo conoscono e a cui spesso lo associano indissolubilmente), con “Inception” Nolan ha voluto riprendersi un po’ del suo modo di fare cinema. Una sorta di ritorno all’antico, prima che la propria identità d’autore si trasformasse per sempre. Un atto coraggioso. Se è vero che buona parte del cast (Cotillard, Caine, Murphy, Gordon-Lewitt, Hardy) strizza l’occhio alla sua saga sull’uomo pipistrello, per il resto Nolan ha voluto riproporre alcuni dei suoi incontrovertibili topoi, rimettendo le cose in chiaro sul proprio concetto di cinema. Innanzitutto, uscito dalle briglie della supervisione Warner, necessaria per monitorare la storia di Batman per questioni di diritti e di royalty, Nolan si è messo a scrivere soggetto e sceneggiatura di “Inception” da solo, secondo i suoi canoni, condividendo con la moglie Emma Thomas la produzione della pellicola. Non dovendo mettere conto ad anima viva sulle scelte del copione, il regista ha concepito l’intreccio secondo un gioco di scatole cinesi: un sistema già visto nel suo “Memento”, seppur in maniera differente. La fabula, poi, ha visto un flashforward iniziale straniante, già visto prima, specie nel suo folgorante film d’esordio “Following”. Da quest’ultima pellicola viene ripreso inoltre il nome del protagonista (Cobb), interpretato qui da un Leonardo Di Caprio che non si vedeva così tormentato dai tempi di “Shutter Island”. Un plot che è più vicino a “Eternal sunshine of spotless mind” (mi rifiuto di riportare il titolo in italiano), dimostrando una genialità che lo avvicina ad un altro talento indipendente e brillante: Michel Gondry.
Quarto livello: scavare nel profondo del proprio subconscio (e della propria coscienza!?!?). Il risultato dell’operazione è stato ottimo, con premi e riconoscimenti a tutti i livelli, nonché pubblico e critica d’accordo sulla bontà del prodotto. Facciamo appello al buon senso di Nolan e speriamo di non assistere al ripetersi di altri “Matrix reloaded” e “Matrix revolution” che facciano tramortire il meraviglioso archetipo. Tuttavia se proprio deve esserci una serialità (ed il finale – quasi sospeso - ci fornisce qualche sospetto) vogliamo sperare nel bis dell’inusitato crescendo che Nolan ha saputo regalare con la saga del suo Cavaliere Oscuro.
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