Regia di Christopher Nolan vedi scheda film
Dom Cobb è il più abile estrattore di idee in circolazione: insieme al suo socio Arthur entrano nei sogni delle persone per carpire i segreti celati nel loro subconscio. Ma Cobb è in grado anche di operare il processo inverso, ossia l'innesto delle idee stesse (l'inception, appunto). Riceve quindi da Saito, un uomo d'affari giapponese, l'incarico di innestare nella mente del rampollo Robert Fischer il proposito di smembrare l'impero del moribondo padre Maurice una volta subentrato a lui come erede. Per assolvere la missione Cobb ed Arthur si fanno aiutare dal chimico anestesista Yusuf, esperto di sedativi, dall'architetto Ariadne, cui è affidato il compito di creare il palcoscenico su cui i sogni condivisi andranno in scena, e dal falsario Eames, che nei sogni è in grado di simulare identità diverse.
Questa è in soldoni la traccia di questo film affascinante e cervellotico che chiede allo spettatore di osservare ascoltare e pensare: e non è poco di questi tempi. La trama è stratificata e (apparentemente) complessa: ci si muove passando da un sogno ad un altro, con individui che prendono parte attiva ai sogni altrui, e sogni che scivolano in altri sogni articolandosi su più livelli in un gioco di scatole cinesi.
Inception è un film cangiante, mutevole, un blockbuster d'autore che oscilla lievemente tra l'action movie avventuroso e il thriller psicologico a tinte noir, mantenendo di base un solido substrato sci-fi, totalmente concentrato nella dimensione onirica, che, lontano da ogni gratuità, rappresenta l'impalcatura su cui Nolan edifica un mirabolante universo fatto di realtà parallele e sovrapposte in cui la scena è la mente dei protagonisti, gli interpreti provengono dal loro subconscio, e la dimensione del reale diviene solo uno dei mondi possibili.
Inception è un'operazione ambiziosa e difficile, sostenuta a dovere dalla regia rapida e concreta di Christopher Nolan che va dritta all'obiettivo senza aggiungere fronzoli a scenografie già cariche, da una sceneggiatura pregna di eventi che sceglie di aiutarsi con qualche digressione didattico-didascalica utile a fornire gli strumenti necessari ad elaborare ed assimilare rapidamente i passaggi più ardui, e da effetti speciali notevoli ma perfettamente calati nel contesto, presenti perché necessari ma mai eccessivi o pretestuosi. Non ci sono scene superflue né momenti di stanca.
Il film di Nolan è cinema commerciale hollywoodiano portato all'estremo (e allo stremo), in grado di allargare dall'interno i confini del territorio mainstream. Un film innovativo ed originale che tuttavia non manca di citazioni o semplici affinità con opere precedenti: dal richiamo all'estetica di Matrix dei fratelli Wachowski (evidente nelle scene ambientate nell'albergo in assenza di gravità) all'assunto alla base di Paprika di Kon (anch'esso incentrato sul controllo dei sogni e la loro interazione con la realtà), fino al legame, meno diretto ma a suo modo sorprendente, con Shutter Island di Scorsese, col quale condivide non solo il protagonista principale (un Di Caprio sempre più a suo agio alle prese con personaggi borderline) ma anche il suo vagare nella terra di mezzo tra l'immaginazione (il sogno) e la realtà: il suo Cobb s'è visto costretto a scappare dagli Stati Uniti perché sospettato di essere il responsabile della morte della moglie Mal, ma il suo unico desiderio è potervi tornare per riabbracciare i suoi due figlioletti, e con questo scopo ha accettato l'incarico (l'affarista Saito è uomo potente, e ha promesso che parlerà con chi di dovere); il sogno è la sua professione ma anche la sua dimensione privilegiata: lì rivede Mal con la quale ha condiviso per lungo tempo il limbo, spazio onirico grezzo in cui il subconscio regna senza filtri, nel quale lei vorrebbe trattenerlo per sempre, e lì osserva ancora, in lontananza, i figli ignorarlo ignari. La sua sfera privata entra a gamba tesa sulla storia, diretta proiezione dei suoi sensi di colpa, mettendo in serio pericolo la missione e l'incolumità stessa dell'intero team. Tra verità nascoste e confidenze più o meno rivelatorie, tra realtà da incubo e sogni ricorrenti, Nolan tratteggia con perizia l'ossessione di Dom Cobb, che assume un ruolo progressivamente più importante all'interno di un meccanismo imponente ed oliato, mastodontico e agile, che non perde mai un colpo, anzi cresce di minuto in minuto viaggiando a ritmi insostenibili. La sostanziale schematicità nella caratterizzazione degli altri personaggi è quindi voluta oltre che necessaria per non sovraccaricare la pellicola di sottotesti poco utili che finirebbero per distrarre dalle reali priorità di un'opera cerebrale e (ir)razionale.
«Nei sogni puoi ingannare l'architettura realizzando forme impossibili, questo ti permette di creare dei circuiti chiusi come la Scala di Penrose, la scala infinita: il paradosso. Un circuito chiuso come questo ti aiuta a dissimulare i confini del sogno che crei».
Questo concetto, esposto da Arthur ad Ariadne, è per il regista britannico una vera e propria dichiarazione d'intenti. Nolan teorizza espressamente il paradosso e lo mette in pratica in maniera subdola e geniale: disseminando la pellicola di indizi d'ogni tipo, ma passando da un livello all'altro del sogno e del racconto in maniera straordinariamente fluida ed accessibile, prende lo spettatore per mano concedendogli l'effimera illusione del controllo per poi, in modo altrettanto lineare, sfilargli letteralmente il terreno da sotto i piedi attraverso il finale (im)perfetto, il colpo di scena necessario e definitivo che toglie ogni certezza e costringe ad un inatteso quanto interminabile salto nel vuoto durante il quale riflettere, cercare seconde vie, e riavvolgere il nastro all'infinita ricerca del particolare rivelatore. Che non esiste. Un colpo basso? Assolutamente no. Piuttosto un colpo di genio.
Il film di Nolan è una matassa inestricabile, un oggetto impossibile, un'illusione ottica di cui il regista si diverte a celare i passaggi paradossali incanalando con stile il racconto nell'unica direzione che costantemente li nasconde, salvo mutare la prospettiva proprio all'ultimo fotogramma, ad un passo dalla parola "Fine", svelando solo allora Inception per quello che realmente è, ovvero la rappresentazione filmica della Scala di Penrose, un circuito bidimensionale in grado di dare l'illusione visiva della perfezione salvo rivelare la propria irrealizzabilità fisica al momento del passaggio alla terza dimensione. Il salto nel vuoto a cui Inception conduce non è un banale buco di sceneggiatura tale divenuto per difetto di senso, ma, al contrario, è il senso stesso del film.
Inception ha uno nessuno o centomila finali diversi, tutti ipoteticamente plausibili ma incompatibili tra loro.
Inception è tutto nella mente di Christopher Nolan, e sfugge a chi non ha la fantasia o l'umiltà necessarie a ricercare la coerenza anche all'interno di una storia paradossale e dal finale apparentemente troppo aperto.
Inception è un orologio che segna un'ora diversa per ognuno, e non è mai quella giusta.
Inception è un gioco di prestigio, un'illusione, un labirinto di specchi.
Inception è un'idea di cinema che il regista innesta nel subconscio dello spettatore.
Inception è un film che affronta la ragione e la sconfigge sul suo stesso terreno, che racconta una storia impossibile rendendola credibile grazie ad una messinscena di (im)precisione matematica.
Inception è la dimostrazione pratica dell'infallibilità dell'immaginazione, la sublimazione del cinema come alternativa alla realtà.
Inception è un capolavoro.
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