Regia di Vincenzo Terracciano vedi scheda film
Franco Campanella è un impiegato in pensione con la mania del gioco d’azzardo e s’indebita al punto di finire nel mirino di usurai e malavita. Il figlio che lo disprezza - e che è diventato suo malgrado un professionista del poker - dovrà affrontare la più dura delle partite per ripianare le perdite del padre. Per lui, per la sua famiglia e soprattutto per la sorella: il cui matrimonio è nei sogni e nel cuore del protagonista. Non potrebbe essere un racconto di Marotta e quindi anche un episodio di L’oro di Napoli? Anzi, se non suonasse smisuratamente presuntuoso, potrebbe essere proprio il titolo del film. Anche, e soprattutto, per un altro motivo. Franco Campanella, interpretato da Sergio Castellitto, è divorato da scommesse ai cavalli, poker e zecchinetta. Chi ha scritto il film - una delle migliori sceneggiatrici italiane di oggi, Laura Sabatino - deve aver pensato proprio a De Sica e alla passione più irreprimibile della sua vita. E così fa Castellitto. La provvista di mezzi sguardi, di transizioni precipitose dalla beffa al dramma, le sue circumnavigazioni domestiche e i suoi erramenti urbani, i suoi soprassalti di sdegno e umiliazione, arte d’arrangiarsi e sopportazione millenaria di un destino cinico e baro, sembrano una specie di antologia del meglio della scuola naturalista italiana del Dopoguerra. L’attore fluttua con apparente noncuranza tra Eduardo e i fratelli Giuffrè, tra Scarpetta e l’avanspettacolo. Eccellente: lo spettatore starebbe a guardare Castellitto, per puro piacere, per un’altra oretta. Il contorno gli tiene dietro con convinzione, Martina Gedeck (protagonista di Le vite degli altri e già coprotagonista con Castellitto di Ricette d’amore), una moglie tedesca esasperata dalla eroica inaffidabilità del marito, ma anche i figli Paolo Briguglia e Raffaella Rea e soprattutto Iaia Forte, nella parte di un boss dei vicoli lussuriosa e vendicativa. Il film non segna il passo, fin quando Terracciano segue il suo personaggio con apprensione e curiosità. Il finale noir, in un molo livido e indifferente, non ci sta male anche se è un po’ troppo inevitabile: arriva quando il film il meglio lo ha dato già.
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