Regia di Renzo Martinelli vedi scheda film
Un amico, ora pezzo grosso della Lega Nord, ci disse vent’anni fa che la grandezza di Umberto Bossi stava nell’avere reintrodotto il mito in politica. Ultimo tassello di questa mitografia così caparbiamente perseguita, anche a sprezzo del ridicolo, non poteva non essere il cinema, «l’arma più forte», come si diceva quando c’era Lui. Che poi in realtà questo cinema sia soprattutto televisione è un’altra storia, ma la dice lunga sui tempi che corrono. Barbarossa celebra il mito primigenio della Lega Nord, vale a dire Alberto da Giussano, giovane guerriero milanese di umili origini che a capo di un esercito di novecento impavidi («Meglio morti che schiavi!») resistette e addirittura respinse le truppe imperiali del feroce Saladino, pardon, Barbarossa, al secolo Federico I di Hohenstaufen, nel film interpretato con piglio hitcheriano da Rutger Hauer. Il prode Umberto, nei panni di un nobile meneghino, compare in una scena, del tutto indifferente al fatto che la maggior parte delle altre comparse siano romene. Barbarossa è una produzione straripante (venti milioni di euro) realizzata da Rai Fiction e quindi destinata in primo luogo al prime time televisivo. Speravamo di vedere un’opera trash come Il mercante di pietre e invece il formato e la durata smorzano certe situazioni hard tipiche del cinema di Renzo Martinelli. Tranquillizzatevi, comunque: momenti tremendi ce ne sono eccome, a partire dai ralenti che scattano a comando quando meno opportuni. Da un punto di vista drammaturgico il film si incarta su lunghe e didascaliche verbosità («La terra che Barbarossa calpesta è la nostra terra, appartiene a noi lombardi fin da quando abbiamo memoria!»), attimi involontariamente comici («Milano... Milano... Milano» ripete l’imperatore arrivato in Padania, e sembra il «Nein... Nein... Nein» dell’Hitler di Tarantino) e sequenze di lotta di massa che vorrebbero essere epiche e sono solo enfatiche. Al termine dell’anteprima al Castello Sforzesco di Milano, gongolano i leghisti in festa. Inequivocabili sbadigli sintetizzano invece il giudizio di tutti gli altri spettatori.
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