Regia di George A. Romero vedi scheda film
Un eterogeneo gruppo di studenti universitari di Pittsburgh, in Pennsylvania, si riunisce in un bosco per girare un film horror a bassissimo budget, quando li raggiungono inquietanti notizie via radio di morti che si rianimano ed attaccano le persone, divorandole. Inizieranno un lungo e vano viaggio nell’orrore e nel caos.
Il grande Romero torna ad abbeverarsi alla fonte primigenia della sua ispirazione, tornando alle produzioni low budget degli inizi di carriera e risalendo fino alla prima comparsa dei suoi (e nostri) “amati” morti viventi. Non limitandosi, tra l’altro, a ripetere pedissequamente le tematiche già proposte in altre pellicole ma infarcendole di istanze più evolute e moderne, in questo caso un’aspra critica alla società dell’immagine e dell’informazione illimitata ed assoluta. E riesce, grazie al suo geniale strumento sociologico universale (gli zombies), a mostrarci il corto circuito internet/mediatico nel quale viviamo: possiamo sapere, in tempo quasi reale, se un uomo è morto in Siberia (oppure se, come è successo ieri, un kamikaze ha provocato 50 morti e 150 feriti a Tikrit), ma allo stesso tempo questa notizia (e molte altre simili) ci fagocita e ci rende indifferenti, anestetizzandoci e non facendoci comprendere appieno la sua portata. Perché, inconsciamente, sappiamo che la televisione e i mezzi d’informazione (spesso) mentono ma sappiamo, o crediamo di sapere, che se qualcosa non passa in T.V. o su internet allora non esiste. E questo ci blocca come se fossimo robot asymoviani alle prese con le tre leggi della robotica. Uno dei protagonisti del film (Jason) è un rappresentante estremo di questa “empasse” e, armato di telecamera, riprende qualunque cosa, anche la più orribile, nascondendosi dietro lo spunto artistico e la voglia di far conoscere “la Verità” ed indicare “il modo di sopravvivere” alle orde di famelici morti viventi, fino a risucchiare nel suo delirio tutti i suoi compagni d’avventura. Il regista non ci risparmia, comunque, in questo abisso umano, i suoi lievi tocchi ironici (l’amish muto) e paradossali (il cinico personaggio del professor Maxwell, interpretato magistralmente dal teatrale Scott Wentworth). Dal punto di vista tecnico, oltre all’eccezionale fotografia, Romero usa la camera a mano e l’inquadratura fissa di telecamere di sorveglianza, espedienti usatissimi nell’ultimo decennio (“Rec”, “Cloverfield”, “Blair Witch Project” e l’ultimo “Paranormal Activity”) per mettere in scena uno stile soggettivo/documentaristico, ma rielaborati magistralmente tanto da far sembrare le pellicole ispiratrici delle mere epigone. In conclusione, Il vecchio leone non sbaglia un colpo.
Mass-mediatica.
Ottima.
Titubante.
Esagitato.
Taurino.
In pericolo.
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