Regia di John Lee Hancock vedi scheda film
Qualcuno dirà che questa, in fondo, è una semplice storia d’amore. Certo lo era quando apparteneva ancora alla vita vera, prima che John Lee Hancock decidesse di trasformarla nel consueto, ammiccante prodotto hollywoodiano. Quella che ci viene propinata, purtroppo, è solo un’americanata dallo stile educato e corretto, “bella” solo perché candidamente rassicurante, “coraggiosa” solo perché propugnatrice (almeno nelle intenzioni) di stereotipi antitetici rispetto ai pregiudizi razziali. Una Sandra Bullock in confezione da Oscar, sigillata in fondotinta, mascara e tailleur dirigenziali, campeggia in mezzo a un film che, più che il blind side, sembra celebrare un bright side in formato famiglia allargata e multietnica, un po’ finto e forzato, stampato sullo schermo come un sorriso di ceralacca. Questo tipo di biografia, anziché spunti di riflessione, offre slogan consumistici, in cui la gioia di vivere si identifica con la gratificazione megalomane della sfida contro l’impossibile, della rivincita degli ultimi che saranno i primi in termini di fama, successo e ricchezza. La saga del ragazzone nero, povero, grassoccio e apparentemente un po’ tonto che (si badi bene: grazie ai bianchi benestanti della middle class imprenditoriale) diventa un grande campione di football, non ha davvero nulla da insegnarci. Questo romanticismo moraleggiante non serve proprio a niente, soprattutto non a tranquillizzare le nostre coscienze. The Blind Side va ad aggiungersi allo sconfinato cumulo di opere affette dallo stesso individualismo celebrativo e propagandistico, che sembra non perseguire altro scopo che allontanare, da sé e da chi guarda, lo spettro della madre di tutte le verità scomode: si è qualcuno anche se non si è nessuno, e la competizione degenera in disumanità quando il meglio e il peggio diventano timbri discriminatori applicati alle persone.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta