Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
Luca Guadagnino compie un deciso passo in avanti nella sua produzione (in particolare dal discutibilissimo Melissa P) e con Io sono l’amore realizza ad oggi la sua prova migliore. Che i patemi d’animo, l’irrequietezza e le crisi di famiglia dell’alta borghesia siano già stati bene argomentati e che comunque possano sempre offrire qualche spunto pruriginoso è nell’ordine delle cose, che poi se ne tragga che “anche i ricchi piangono” è cosa buona e giusta. In realtà il regista lavora in profondità su di un piano quasi esclusivamente formale, ottenendo un risultato che non solo convince, ma che può essere propedeutico per un percorso che sprovincializzi ulteriormente sfaccettature dimenticate della nostra società. Inquadrature, luci, fotografia, tutto appare funzionale al significato più intimo del testo, la natura dell’amore, che appare sfuggente, eterea, tragicamente carnale ma anche spirituale, immaterialmente libera. La russa Emma, una Tilda Swinton eccellente come suo solito, è in crisi d’identità, moglie di un ricco imprenditore milanese la cui famiglia è ancorata alle tradizioni e alla classica concezione di casta. L’ambientazione scenica è densa di fascino, una Milano mitteleuropea d’antan come poche volte viene mostrata si confonde con il perbenismo borghese e la sua proverbiale mancanza di calore. Ma la sensazione si ripete, nella natura ligure e negli squarci stagionali e luminosi: sarà Emma a scalfirne l’immagine, con la ricerca della sua anima e di una passione destinata a restare imprecisata con lo scopo di ottenere attribuzioni e significati diversi. La regia compie scelte precise lungo ogni snodo di una vicenda che razionalmente non presenta nessuna originalità, ma che si presenta ad ogni derivazione del racconto con la via più inattesa, con quella più sorprendente, nonostante si mantenga su toni in linea con l’ambiente rarefatto e misurato dei protagonisti. Sembra che si cerchi di spostare il nostro sguardo da ciò che vediamo ad una visione periferica che sta a lato dell’immagine, in quell’altrove costruito da dialoghi spezzati, immagini algide e taglienti, silenzi pesanti alternati ad una scelta musicale ricercata, proprio lì, dove si trova l’amore. Unico punto debole, è lo sfruttamento del richiamo enogastronomico interno alla vicenda, che fornisce un’appendice un po’ banale a quella inafferrabile sostanza sentimentale ed emozionale della protagonista.
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