Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
Complessivamente un bel film. Effettivamente richiama il melodramma decadente di Visconti, anche se sarebbe riduttivo confinare l'opera di Guadagnino nell'ambito di un calligrafismo capace solo di riprodurre una forma di cinema dal passato glorioso (e dal presente incerto, visto che fra i grandi Maestri forse Visconti è quello a cui le nuove leve si ispirano sempre meno, rispetto ad esempio a un Rossellini o un Antonioni). "Io sono l'amore" attraversa svariati temi: il principale è il risveglio dei sensi di una matura donna alto-borghese, fagocitato dall'outing di una figlia lesbica e capace di superare anche gli atroci macigni del lutto e del senso di colpa. La regia ha buon gioco nel dispiegare generosamente carrelli, inquadrature fugaci, sfocature (duplice metafora del desiderio represso e dell'appannamento della ragione), accomunando i personaggi di Alba e Tilda da scelte espressive così esplicitamente simboliche da rischiare il kitsch: colori primaverili, fotografia luminosa, primissimi piani intensi (laddove nella prima parte del film, la mdp se ne stava spesso in campo medio), montaggio convulso/visionario. Un altro simbolo manifesto del conflitto passione/repressione è la presenza di volatili (farfalle, uccelli) in locali chiusi (una camera da letto, una chiesa). Discutibile, forse un po' forzata e pretenziosa, comunque intensa, tutta la parte finale, quasi priva di parole, con l'ultimo sguardo fra madre e figlia che chiarisce il senso dell'opera. Un film in cui, alla fine, pare evidente come la componente maschile della famiglia sia quella di gran lunga meno vitale (vedi l'ingenuo idealismo del povero Edo, il pragmatismo di Tancredi e la retorica del partiarca, un'inossidabile Ferzetti). E un grande film di donne non poteva che essere valorizzato da grandi attrici. Se infatti il copione ha qualche sbavatura (resta un po' irrisolta la latente omosessualità del cuoco Antonio, così come il personaggio del fratello Gianluca è poco approfondito...e da questa superficialità si denota uno scarto considerevole con la densità di Visconti) e la regia ogni tanto, nella tensione verso un cinema di istinti e di pulsioni, si perde in qualche svolazzo gratuito, la Swinton e la Rohrwacher prestano tutta la loro espressività e l'atipicità dei loro volti alla causa di un cinema finalmente libero da inibizioni d'ogni sorta.
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