Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
Fin dall'apparire del logo Mikado veniamo introdotti nella magia e nella sensualità di questo bellissimo film di L. Guadagnino per mezzo delle note vorticanti ed aeree di The Chairman Dances del grande John Adams (1947, compirà gli anni il 15 febbraio), un presagio e un filo rosso che attraversa tutto Io sono l'amore, tramite l'assemblaggio calibrato e intelligente di altre composizioni dell'autore statunitense (Century Rolls per pianoforte e orchestra, Lollapalooza, Harmonielehre, Nixon in China, The Death of Klinghoffer, Harmonium ecc.), fino alla netta e luminosa cesura finale sulla porta aperta.
Un filo rosso che avvolge gli ambienti magnifici e le suppellettili, ma sopratutto i personaggi "ribelli" che vivono nella villa Necchi di Milano, dimora di una ricca famiglia dell'industria tessile, una musica che incredibilmente rende benissimo il movimento interno delle aspirazioni, una presenza che è contemporaneamente ossessiva, incalzante, ritmica, melodiosa, metamorfica, melanconica, inquieta e poi trasfigurata nella gioia, rinata dal dolore.
La storia è tutto sommato semplice, anche convenzionale, ma la bellezza sta nell'intreccio armonioso che si instaura tra la suddetta colonna sonora (preesistente e che ha fatto da "interprete" essa stessa ben prima dell'inizio delle riprese), la regia vivace ed emozionante con quei sinuosi movimenti di macchina, quelle inquadrature liriche, l'attenzione ai particolari degli oggetti, degli ambienti, delle architetture, dell'atmosfera e dei corpi, il montaggio sia frammentato che espanso, i rumori, i suoni e le parole ovattati, naturali, volteggianti (nell'aria anche la magnifica e decadente Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler, per pochi secondi, all'arrivo dei nonni), i colori caldi, i chiaro-scuri degli interni, le luminescenze attraverso i vetri che risaltano il candore della pelle di T. Swinton poco prima che l'eros inondi lo schermo all'aria aperta e che venga aggrovigliata dal corpo flessuoso di E. Gabbriellini, in una sequenza che per freschezza della luce e mosaico di particolari ricorda abbastanza certi idilli alla Walerian Borowczyk.
Bravi gli attori, spontanei e del tutto motivati, in particolare, oltre alla Swinton, anche A. Rohrwacher, che guarda caso interpreta il ruolo d'ideale appoggio per la madre stessa, una figlia artista e lesbica (notevole e ingannevole la somiglianza), mosca bianca che è elemento determinante per la rottura dei cardini della tradizione familiare patriarcale. Certo i legami di una famiglia si spezzano, ma ognuno, come nella vita, fa le proprie scelte, anche dolorose. 8 1/2
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