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Io sono l'amore

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su Io sono l'amore

di Peppe Comune
7 stelle

I Recchi sono una delle famiglie più ricche e importanti dell'alta borghesia milanese. In una cena di famiglia, il capostipite della dinastia (Gabriele Ferzetti) annuncia a tutti di volersi finalmente ritirare e lascia le redini delle imprese al figlio Tancredi (Pippo Delbono) e al primogenito di quest'ultimo, nonchè suo nipote, Edoardo (Flavio Parenti). Nel mentre si concretizzano i passaggi di consegna e si studiano nuove strategie per le imprese Recchi impegnate nel settore tessile, la moglie di Tancredi, la "russa" Emma (Tilda Swinton), riscopre il sapore delle sue umili origini grazie al talento culinario di Antonio (Edoardo Gabriellini), il "cuoco contadino" amico di Edoardo, con il quale ha in progetto di aprire un ristorante nella campagna sanremese. Tra Emma e Antonio scoppia la passione, vivifica per entrambi, soprattutto per Emma che aveva rinunciato alla sua identità (cambiando addirittura il nome) per recitare meglio il ruolo della perfetta dama di corte.

 

 

Sullo sfondo di una Milano lussureggiante e a cavallo di importanti cambiamenti economici che scalfiranno in profondità la natura identitaria delle imprese Recchi, Luca Guadagnino tratteggia un melodramma di estrema eleganza formale dove uno dei pregi migliori è l'ottima caratterizzazione di una tipica famiglia di industriali lombardi, emblema di un mondo imprigionato nel suo immobilismo autoreferenziale e immerso in un torpore che anestetizza sul nascere l'autenticità di ogni slancio emotivo. Nulla sembra sconvolgere la pedissequa reiterazione di ruoli sociali rigidamente cononizzati dal rispetto dell'etichetta, tanto che Edoardo progetta l'apertura del suo ristorante con l'amico Antonio lontano dai suoi abituali ambienti milanesi e la sorella   Elisabetta (Alba Rohrwacher) consuma il suo amore lesbico segretamente, nel suo lontano esilio londinese. Solo lontano è possibile abbandonarsi ai propri più intimi desideri, altrimenti, nell'immensa e baroccheggiante villa di famiglia si è irremidiabilmente schiavi di un mondo in cui la forma conta più di ogni altra cosa ("saremo solo più ricchi" dice emblematicamente Elisabetta dopo un buon affare condotto dalle imprese di famiglia). Antonio è l'elemento che arriva a far toccare due mondi tra loro lontanissimi, a rappresentare l'alterità che contrasta con la monotona ritualizzazione di un ruolo ed arriva ad insinuare in Emma la voglia di riappropriarsi delle sue origini russe. La sua cucina, frutto del più sano e naturale lavorio della terra, lo avvicina ad Emma e li catapulta insieme in un circolo di sensazioni che, dapprima Guadagnino tiene a freno con un modo "hitchcockiano" di pedinare sguardi e slanci emotivi, e che poi esplodono in una passione, tanto bella e travolgente perchè scaturita da un naturale incontro di sensi, quanto insana per l' inconsapevole dose di tragedia che conserva in se. Quell'intreccio di corpi in mezzo alla campagna, tra l'erba alta e gli insetti che ronzano intorno, santifica l'estranietà di entrambi da un mondo che privilegia l'estrema estetizzazione dei gesti (emblematico il rituale della vestizione di Emma) alla verità dei sentimenti. Estranietà che per Emma significa recuperare quella identità originaria che vorrà mantenere anche quando il dolore calerà il sipario sulla famiglia Recchi. "Io sono l'amore" mi ha ricordato "La caduta degli Dei" di Luchino Visconti : per l'impianto scenografico che lo sorregge e per il fatto di rappresentare la vita di una famiglia nel mentre si stanno verificando importanti metamorfosi in campo economico. Un film dalla tecnica sublime (la sequenza iniziale della preparazione della cena in una Milano innevata è bellissima), di ampio respiro direi, ostinatamente condotto contro certo provincialismo "italico". Gli si perdona volentieri qualche calligrafismo di troppo a la non adeguata delineazione psicologica di taluni personaggi (quelli di Tancredi ed Elisabetta su tutti). I difetti restano però  e mi portano a concludere che se Guadagnino curerà meglio la fase di scrittura e, magari, si specchierà un pò di meno nei suoi virtuosismi, avremo probabilmente un ottimo autore.

 

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