Regia di Benjamin Rocher, Yannick Dahan vedi scheda film
Sono passati pochissimi giorni da quando in questa sede ho speso parole di estremo entusiasmo per un blockbuster clamoroso come "Inception". E adesso mi ritrovo ugualmente entusiasta ma per un piccolo film indipendente di produzione francese. "La horde" è un piccolo gioiello horror trasudante furia, violenza e profondo malessere. La cosa che subito colpisce lo spettatore è il clima che si percepisce, un'atmosfera cupa e violenta mostrata con immagini di assoluta efficacia, dove si mescolano elementi classici del "cinema di zombie", thriller ansiogeno, follia montante, differenze rancorose che dividono gli umani, una violenza talmente realistica da superare il paradosso, atteggiamenti e personaggi surreali, derive da fumetto avventuroso, action caricaturato, e un sacco di altre cose. Il risultato, che può essere letto come un intelligente trattato sull'odio e la vendetta, ci riconduce alla follia visionaria del miglior cinema horror e anche alla fantasia no-limits dei più avanzati comics underground. Qui non si fanno sconti a nessuno, poliziotti o criminali: tutte anime perse, tutti con un passato che li ha resi duri, che li ha caricato d'odio, e che ora si dovranno sottoporre al tribunale senza leggi e senza scampo di un consorzio umano alla deriva che li divorerà ancor prima di processarli. Il trionfo della barbarie, unico approdo di una civiltà che ha perseguito l'orrore del suicidio morale collettivo e dove nessun riscatto è possibile. E la sola speranza di un lume di vita futura, che un film appena un pò più consolatorio avrebbe affidato a quella creatura che la poliziotta protagonista porta in grembo, qui non viene contemplata, perchè quegli spaventosi rumori di belve umane che si stanno avvicinando nel fotogramma finale, tolgono ogni possibilità di apertura ad un futuro diverso. Nella società che qui viene rappresentata non ci può essere spazio per "buoni e cattivi", ma solo "cattivi". Non esiste personaggio che non lotti in solitario (mors tua vita mea) per sopravvivere al massacro ed uscirne vivo. Perchè in una civiltà che si poggia sulla sopraffazione, sul razzismo e la violenza, non ci possono essere vie d'uscita, unico capolinea la morte, su uno sfondo desolato di resti umani decomposti e aride macerie. Tutto questo delirio pessimista viene raccontato in modo provocatoriamente realistico, ma al tempo stesso anche surreale, come in talune sequenze in cui i personaggi si accaniscono sui corpi con una forza tale (peraltro accresciuta da adeguato supporto audio) da generare stupore venato d'umorismo ironico, quasi si assistesse ad una parodia della violenza, o ad una caricatura fumettistica della stessa. Ricordiamo ancora tutti il clamore mediatico suscitato dalle due pellicole che hanno alimentato il fenomeno spagnolo "REC". Ma il confronto sarebbe imbarazzante. "Rec" era a mio avviso il tentativo di mettere in scena qualcosa di disturbante facendo fruttare un budget ridotto al minimo. Risultato perseguito annaspando senza un'idea, quasi navigando a vista in uno stupido delirio di "creature" che ogni tanto uscivano da qualche anfratto. In "La horde" è tutto molto diverso. Intanto ci sono dei personaggi nel cui passato, per quanto solo accennato, si cercano elementi per definirne gli attuali contorni psicologici; e poi quei ruoli (benchè si tratti di un film di genere) sono gestiti abbastanza bene da una sceneggiatura più che dignitosa, che mette in scena caratterizzazioni consistenti e perfino dotate (come nel caso della poliziotta) di un vago fascino dolente e malinconico. Tutti elementi, questi ultimi, totalmente assenti in quel filmetto dal sapore amatoriale davvero miserello che era "Rec" (entrambi gli episodi). Il confronto che ho appena evocato riflette forse quello più ampio tra il cinema spagnolo e quello francese, le due cinematografie a mio avviso più ricche ed innovative d'Europa. Confronto che si conclude con il trionfo del cinema francese, che (scusate se la sparo grossa, ma è la MIA opinione) è attualmente il migliore del mondo, peraltro in grado di raggiungere vette di eccellenza in ogni genere, dal comico al drammatico, dal sentimentale all'horror, in quanto dotato di tutte le qualità necessarie: grazia, sensibilità, leggerezza, sicurezza, cultura. Il film inizia con un breve prologo che si astrae da tutto il resto, ritagliandosi una decina di minuti sullo sfondo del funerale di un poliziotto: ed è una introduzione all'insegna del più classico dei "polar". E invece, pochissimi fotogrammi dopo, già siamo trasportati nella "tana del lupo". Una manciata di poliziotti (tra i quali una donna) si armano fino ai denti e partono per una missione di massacro. Si dirigono verso un palazzone fatiscente collocato nella banlieu parigina, tipica periferia dove tutto sa di precario ed abbandonato a sè stesso; l'edificio nasconde tra le sue scale un covo di criminali, pecisamente spacciatori che gestiscono loschi traffici nel cuore della periferia di Parigi. Sono delinquenti puttosto decisi e dalla scorza dura, in particolare due fratelli nigeriani di cui si intuisce un passato pieno di ostacoli che li ha caricati di odio e del desiderio di un riscatto da perseguire attraverso la forza dei muscoli e della prepotenza. La "missione" ha una motivazione forte e condivisa da tutti quei quattro poliziotti: vendicare un collega fatto fuori da quei criminali. Ben presto i poliziotti in assetto da guerra si scontrano con la "banda" e sembrano avere la peggio, dato che due di loro vengono subito feriti. Ma a quel punto interviene un fattore esterno a condizionare pesantemente l'esito della vicenda. Vale a dire che i superstiti di entrambe le fazioni, pur senza cessare di guardarsi in cagnesco, devono affrontare insieme una legione di zombie furibondi e affamati che escono da ogni anfratto dell'edificio. E più che come mostri, i due registi sembrano volerci restituire di loro l'impressione di un esercito di anime in pena, di esseri disperati che in qualche modo sono in cerca d'aiuto, oltre che naturalmente di umani con cui sfamarsi. E qui si evidenziano i due quasi inevitabili riferimenti. Ovviamente (uomini braccati dentro edificio) "Distretto 13" di Carpenter...e soprattutto George Romero, con gli zombie cui viene affidato il classico simbolismo, a rappresentare la marcia degli ultimi, dei reietti, che si rivoltano verso il sistema sociale, decisi a ristabilire una forma di giustizia attraverso una catarsi di cieca violenza purificatrice. I dialoghi sono validi, funzionano e soprattutto nei botta e risposta tra i personaggi, che non sono bidimensionali ma anzi tratteggiati con caratterizzazioni dignitose (sempre tenendo conto dei limiti fisiologici che il cinema di genere riserva all'approfondimento psicologico). Condivisibile poi la scelta di non attenuare mai la tensione, nel senso che anche quando gli zombie danno tregua, i rapporti tra i personaggi restano sempre tesissimi, e gli scontri verbali sono continui. Quanto all'ironia, essa non è presente in forma diretta, eppure si ha l'impressione che certe esplosioni di violenza siano siano talmente esplicite e dettagliate da lasciare al pubblico più smaliziato l'opzione di interpretare tale muscolare cattiveria in chiave fortemente caricaturale...come quando vedi un personaggio che afferra la testa di un tizio e gliela sbatte un'infinità di volte contro il muro, beh, è evidente che siamo alla caricatura della violenza. Film decisamente pessimista, dunque. Ma è proprio da questo senso del tragico che ne scaturisce il fascino: se nel film si aprisse uno squarcio di luce e di speranza verso un finale luminoso, tutto il suo appeal e il suo pathos crollerebbero miseramente. Parlavo prima della dignitosa caratterizzazione dei ruoli; in particolare la poliziotta (della quale si accenna ad un trascorso sentimentale turbolento, che l'ha portata ad essere ora incinta), e poi i due fratelli nigeriani nervosi ed aggressivi. E c'è poi un personaggio singolare cui probabilmente i due sceneggiatori-registi hanno affidato la funzione di "alleggerire" la tensione con una serie di battute sopra le righe. Si tratta di un vecchio fuori di testa, fascista e razzista, il quale non fa che rimpiangere i giorni gloriosi in cui combatteva contro i "musi gialli" sul fronte indocinese. Costui lascia trapelare un cinismo crudele che si apre anche alla perversione, nella tremenda sequenza in cui manifesta l'intenzione di seviziare una donna-zombie moribonda. C'è una scena nel film che si impone su tutte, e non a caso è stata scelta come immagine ufficiale rappresentata sul manifesto: immaginatevi un poliziotto in piedi sul tetto di un'auto, completamente circondato dagli zombie affamati, che spara nel mucchio, poi -esaurite le munizioni- comincia a far roteare una specie di machete troncando teste e braccia, per poi finire "posseduto" dagli zombie che lo fanno a pezzi. Ecco, è una sequenza realizzata da qualcuno che il cinema lo sa fare, perchè la resa è davvero esaltante, una tempesta di adrenalina. E non c'è modo migliore di concludere una recensione se non accennando ai titoli di coda, che sono lunghissimi e ricchi, per chi ha pazienza, di inedite informazioni. Per esempio mi ha colpito uno "special thanx a Xavier Gens", regista francese del cult horror "Frontières" (che ho saputo dopo essere produttore esecutivo di questo film). Ma il dettaglio che più mi ha colpito in quella sfilza finale di nomi è che vi vengono ringraziate (citandoli per nome uno per uno...e sono centinaia!) tutte le comparse che hanno impersonato la moltitudine degli zombie. Concludendo. Certamente non un film per tutti, ma i frequentatori del genere non rimarranno affatto delusi. Per inciso: assieme a "Martyrs", il miglior horror europeo degli ultimi 10 anni. Ancora una volta la Francia ci dà una lezione di Cinema.
Voto: 9/10
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