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The Horde

Regia di Benjamin Rocher, Yannick Dahan vedi scheda film

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La recensione su The Horde

di ROTOTOM
8 stelle

La horde arriva nelle sale italiane in ritardo di un anno esatto visto che fu presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 2009.  E’ un horror puro e duro, modellato secondo la ricetta vincente originale di George Romero del 1968 e aggiornato ai tempi moderni.  Un film di zombi, morti viventi, ritornanti a dir si voglia ambientato in un fatiscente condominio di una banlieue parigina. Diretto da Yannick Dahan e Benjamin Rocher,  La horde è coprodotto da dalla tv satellitare francese e distribuito in Dvd da TF1, la televisione pubblica, una cosa impensabile qui in Italia. Dopo tutto il cinema di genere in Francia è estremamente popolare, la felice new wave horror dei Frontiers, Calvaire, Martirs e compagnia bella - senza contare i polar, vero pane quotidiano - che hanno fatto tanto parlare in questi anni sono tutte coproduzioni di Canal + e Tv pubblica. In Francia per legge una quota dei film e della musica trasmessi deve essere nazionale. Se una legge protegge il prodotto nazionale e il prodotto nazionale è modellato storicamente sul cinema di genere non è assurdo che un film come La horde veda la luce anche se vietato ai minori, violento e sanguinario. 
 
La storia è semplice: un gruppo di poliziotti decide di fare autonomamente irruzione in un condominio popolare dove sarebbero nascosti dei trafficanti di droga autori dell’omicidio di un loro compagno.  Dentro il condominio si scatena l’inferno quando improvvisamente i morti ritornano in vita senza alcun motivo (secondo me vedendo il medioevo moderno che la società sta attraversando i morti dovrebbero avere degli ottimi motivi per ritornare in vita. Ma chi glielo fa fare?) e attaccano i criminali e i poliziotti che dovranno fare giocoforza fronte comune alla possibilità tutt’altro che remota di essere divorati.
Brutale, sporco e cattivo. La horde non si preoccupa affatto di giustificare le azioni dei protagonisti, non tenta uno sviluppo narrativo originale, non indugia sulle metafore sociali che l’horror da sempre sottintende.
Cosa fa quindi questo film? Diverte, tanto. Action claustrofobico e splatter, adotta la progressione dei videogiochi strutturata su livelli da affrontare per accumulare morti e mostri. In questo caso gli assediati scappano prima sul tetto da dove vedono la città messa a ferro e fuoco per poi cercare di scendere in basso e fuggire, piano per piano dovranno affrontare sempre più infetti fino al disilluso finale, non consolatorio e perfettamente in linea con l’andamento del film.
L’anarchia della messa in scena dona al film un’aura di libertà primitiva e cinefila, i due registi hanno ficcato dentro la storia tutto quello che veniva loro in mente e il prodotto ne giova assai in un crescendo parossistico trash senza alcun timore di cadere nel ridicolo. Tutt’altro, benché sia un film “ignorante” (nel senso romanesco del termine: grezzo, senza riguardi)  gli attori sono tutte brave facce da genere e viene sottolineata la nobiltà di questi film francesi dalla presenza del peso massimo Aurélien Recoing, attore di tanto raffinato cinema d’autore (su tutti “A tempo pieno” di L. Cantet) per questa volta in vacanza nelle periferie degradate della metropoli. Chi parlerebbe più a Zingaretti o Castellitto in Italia se si facessero sbranare da uno zombi spargendo sangue a secchiate?  In Francia il tema è secondario, il mestiere di attore  è nobile a tutto tondo, anche in presenza di non-morti purulenti.
Non è un caso poi che la location sia una vera banlieue, l’horror è cartina tornasole delle tensioni sociali del periodo che attraversa, è sempre stato così dall’espressionismo tedesco in poi. Tutto il cinema orrorifico francese volente o nolente gira attorno ai disagi sociali, a quelle bombe innescate che sono le periferie ribollenti di immigrati rivoltosi, la crisi economica e sociale che trasforma i cittadini in massa instabile di insoddisfatti, i rigurgiti neo nazisti di un paese la cui  identità viene quotidianamente messa discussione da spaccature interne.
Non è difficile vedere nell’orda di voraci zombi una metafora di tutto questo trambusto storico-sociale. Non è neppure troppo nascosto il sottinteso che criminali e poliziotti formino un unico sodalizio con intenti comuni distinti solo dalle divise. Nulla di esplicito però, i registi si guardano bene dal palesare intenti e motivazioni che servirebbero solo a edulcorare un film prodotto solo per divertire e infoltire la casistica cinematografica del cinema dell’assedio.
 
La horde è per puri appassionati alle frattaglie, all’umorismo nero e all’azione pura declinata però in una messa in scena artigianale, libera da tutto il digitale che il cinema fantastico americano propina senza emozionare. A Venezia non fece successo, tra gli appassionati E-mule muniti, si. Le voci su La horde si sono propagate come un’infezione e come un’infezione le comparse del film sono accorse a migliaia proprio grazie al casting virtuale fatto dai registi su internet. Sempre di più questo “demonio” della rete, questa “piaga” del peer to peer serve a produrre e divulgare cinema.

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