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Harragas

Regia di Merzak Allouache vedi scheda film

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La recensione su Harragas

di OGM
8 stelle

Le carrette del mare partono da Mostaganem, un porto algerino a duecento chilometri dalle coste spagnole. Hassan, detto “Mal di mare”, è il capo degli scafisti. La traversata costa 100.000 dinar, che sono quasi 1000 euro, anche se il mezzo di trasporto è un semplice motoscafo da diporto, poco più grande che un guscio di noce. Nasser, Rachid e Omar sono harragas, una parola araba che in francese si traduce come brûleurs: un termine che deriva dal verbo bruciare, che, nel gergo locale, significa andare via, fuggire in Europa. I tre uomini hanno tentato più volte l’impresa, e sono sempre stati catturati. Omar ha deciso di non riprovare mai più, o meglio, di sparire una volta per tutte, dando definitivamente  e tragicamente addio ad un’esistenza senza speranza. Sua sorella Imene, invece, si imbarca, insieme al suo fidanzato Rachid e al suo amico Nasser, e, suo malgrado, con Hakim, un pretendente che ha rifiutato, e che da quel momento è diventato nemico della sua famiglia. Il viaggio è come uno se lo immagina, approssimativo nell’organizzazione, drammatico nelle situazioni, crudele nei comportamenti. L’avvicinarsi del sogno non addolcisce quelle ore trascorse nell’angoscia, nelle quali il peggior incubo è la prospettiva di finire fuori rotta e trovarsi nuovamente in Africa, magari in Marocco, dove si rischia di marcire per sempre in prigione. In questo film, i timori e le speranze di una vita intera si affollano negli angusti spazi di un piccolo natante sovraffollato, in un grumo di umanità compressa in mezzo al nulla; un quadro solitario e sbiadito, che interpreta il minimalismo dello smarrimento, della mancanza di un passato da cui far partire un discorso che non sia generico e pieno di punti in sospeso. In assenza di un antefatto, di una riflessione preliminare che fornisca preventivamente un senso alla storia, all’obiettivo del regista non rimane altro che mostrare, istante per istante, ciò che accade; ciò che risponde solo all’impietosa logica del caso e alle tumultuose dinamiche della disperazione, e che cinicamente si imprime sulla realtà, determinando i destini individuali, incurante delle certezze della fede, dell’intensità dei desideri, e di quelli che ognuno, in cuor suo, considera gli imprescindibili principi della giustizia divina. Tra gli occupanti di quella imbarcazione, l’obiettivo è comune, ma le sorti si divideranno, distribuendo felicità e sventura senza alcun apparente criterio, senza nessuna regola che possa tradursi in una morale. L’unica conclusione che si possa trarre riguarda il carattere dell’immigrazione in sé: un fenomeno che, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è un prodotto della politica o della società, bensì è la somma di tante scelte individuali, dettate dalla necessità di impostare la propria vita su progetti professionali, su traguardi affettivi e su sicurezze materiali, in un clima vivace e disteso che sia estraneo tanto alla quotidiana lotta per la sopravvivenza, quanto all’infernale monotonia della miseria.

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