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Cella 211

Regia di Daniel Monzón vedi scheda film

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La recensione su Cella 211

di FilmTv Rivista
8 stelle

Sventurato è il mondo che ha bisogno di rinchiudersi in un carcere per raccontarsi. Dopo Il profeta, ecco Cella 211. Film fratelli - anche nel successo: hanno saccheggiato César e Goya - e profondamente diversi che partono dallo stesso non luogo. Il genere carcerario è sempre stato illuminato, soprattutto da interpretazioni di grande spessore (e radical: dal Redford di Brubaker al Robbins di Le ali della libertà). Il punto è che ora, con Audiard e Monzón, nessuno vuole scappare, rivoltarsi (davvero) o essere redento. La realtà della galera è sempre stata così insopportabile per lo spettatore che ha sempre avuto (o quasi) bisogno di un indulto catartico, di una fuga (da Alcatraz, di mezzanotte, verso un direttore illuminato). Qui, invece, la prigione è la realtà, è la metafora spietata del mondo fuori, la sua chiave d’interpretazione. E chi finisce dentro per sbaglio, innocente, ne diventa ingranaggio, se non motore, magari grazie a un rapporto edipico con il boss di turno. Come Tahar Rahim in Il profeta, come Alberto Ammann, secondino al primo giorno di lavoro che dopo un banale incidente viene “appoggiato” nella cella 211 in attesa di essere medicato. Peccato che una rivolta dei detenuti - caratteristi perfetti, Apache (Carlos Bardem) su tutti - lo faccia dimenticare lì dai colleghi e lui per “salvarsi” debba fingersi prigioniero. E divenire addirittura consigliori abilissimo del cattivo di turno (Malamadre, nome geniale, interpretato da un superbo Luis Tosar). Monzón si tuffa nei cliché visivi ed etici del cinema di genere, secondo la lezione della meglio gioventù del cinema iberico di questi ultimi anni, con talento da vendere e aiutato da montaggio, musica e fotografia da manuale. Ci mostra il male chiuso fuori, nella polizia che reprime ottusamente e nel Potere che replica la scala sociocriminale dell’esterno dietro le sbarre. E, politicamente e coraggiosamente scorretto, il cineasta racconta persino i privilegi dei terroristi baschi, pedine necessarie.

 

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 15 del 2010

Autore: Boris Sollazzo

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