Regia di Daniel Monzón vedi scheda film
un film ambientato in un carcere si presta ad innumerevoli clichè che tramano per portarlo verso il deja-vu e/o la noia. monzon fa iniziare il suo film con ambientazione carceraria con un suicidio. un suicidio che porta inevitabilemente alle polemiche anche tutte italiane sui drammi della sovrappopalazione nella patrie galere e sui suicidi(dall'inizio dell'anno 3 e 49 l'anno passato). ma nonostante la rivolta avvenga per rivendicare condizione più umane, non è nemmeno un film politico che smuove critiche verso il governo del momento. almeno non solo. perchè comunque anche se le notizie relative ai trattamenti brutali, alle mancate cure o alle torture sono laterali alla narrazione, tutto rientra in una idea molto forte di cinema e di storia. juan vuole fare buona impressione sui colleghi e sul capo delle guardie penitenziarie e si reca un giorno prima di iniziare a lavorare per farsi un'idea di cosa lo aspetterà. si è addirittura permesso di dilungarsi a fare l'amore con la moglie incinta e di farsi le coccole. nell'ala che stanno visitando, sgombra di prigionieri perchè fuori a prendere l'aria, un calcinaccio cade dal soffitto, sfonda la rete e si sbriciola sopra la testa delle due guardie e juan che però viene ferito e fatto coricare nella cella 211. scoppia la rivolta e juan per il momento intrasportabile viene abbandonato dalle due guardie nella cella. la cella del titolo ricorda molto da vicino la stanza 237 del film shining. una cella pregna di significati per il film e di vita vissuta, che rappresenta anche un motivo per cui quella rivolta è scoppiata. è un film che si sviluppa su vari livelli, tutti iconici del genere. l'innocente incarcerato per errore o meglio per fatale e sfigata casualità. l'innocente che deve fingersi chi non è. l'innocente che si guadagna la fiducia del capo della rivolta e i dubbi di tutti gli altri. le cose che degenerano a tal punto da trasformare l'innocente in un innocente dalle mani sporche di sangue. un sangue chiamato dalla rabbia, dalla vendetta e dal timore di essere smascherato dalle parole del villain di turno. per la regola del caos, ciò che l'innocente ingabbiato per fatale ironica casualità macchina di minuto in minuto d'accordo con le autorità all'insaputa dei detenuti, si ribalterà di ora in ora solo nella speranza di poter uscire se i rivoltosi e le autorità arriveranno ad un accordo vantaggioso per entrambi. ma nel frattempo l'innocente avrà la possibilità da futura guardia "in incognito" di farsi un'idea di come quei criminali vivono lì dentro, creandosi una coscienza, e di scivolare in una trappola mortale molto simile alle trappole dei ragni delle sabbie che scavano buche e e si ritrovano le vittime tra i denti e le zampe praticamente senza quasi muoversi. la sabbia è instabile e più ti muovi, più i granelli si muovono e scivoli in fondo verso la morte. malamadre il capo dei rivoltosi è un ergastolano che non ha niente da perdere, se non il rispetto degli altri. è un grezzo ignorantotto che legge male e scrive peggio, che viene beffato dall'innocente, ma non si ritrae una volta scoperta la verità. insomma sfuggire i clichè è impossibile, bisogna sfruttarli al meglio e gestirseli bene per averli come complici affinchè la storia fluisca nei migliori dei modi. e la storia fluisce. juan si guarda in uno specchio rotto, la propria immagine frammentata e destrutturata mentre si lava via il sangue dalle mani. quel sangue non è suo. non può rifiutarsi di tagliare l'orecchio al capo dei terroristi baschi per cui le trattative si stanno svolgendo e per cui esistono trattative vien da dire. perchè è vero che il governo non può permettersi una carneficina come quella di qualche anno prima, ma deve rendere conto dei terroristi baschi col governo attinente. la politica sta dietro alle richieste di miserabili pezzenti che rubano o spacciano e anche quelle di bastardi assassini e stupratori. le teste di cuoio stanno solo aspettando che qualcuno ordini. e mentre juan piange nella cella 211, la cella gli restituisce i fantasmi della gente stata lì prima di lui, compreso il suicida iniziale che si è tagliato le vene per il lungo perchè il tumore alla testa lo faceva urlare e impazzire dal dolore. non c'è possibilità di fuori uscita nè per juan nè per il regista. interpretazioni serrate e motivate da una sceneggiatura solida che giustifica ogni azione. luis tosar nell ruolo di malamadre e vicente romero in quelli di tachuela suo amico e braccio destro, sono due bocconcini iberici veeeeeeramente succulenti.
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