Regia di Max Mayer vedi scheda film
Voto: 9/10. Ennesimo film “bello & invisibile (& ritardatario & mal distribuito…), “Adam”, primo premio al Sundance (del 2009, però), è finalmente uscito anche nel “bel” paese, fortemente sostenuto dai nostri distributori (9 o 10 sale per la prima settimana, penso molte meno ora, ma “quando non si ha nulla, non c’è nulla da perdere” diceva un certo Jack…) che hanno optato, dopo lunghe e fumose riunioni, per i recenti capolavori con Jennifer Lopez o con puzzole e altri animali. Ma il caso (penso possa essere solo merito suo) ha voluto che una delle copie fosse proiettata nel mio stato, pardon comune (per la settima arte spesso le due entità amministrative coincidono) anche se, sempre il caso era in procinto di far retromarcia… Cassiere “Per Draquila (anzi Dracula, ha detto), vero?”, io “No, Adam”, cassiere “Per ora siete solo voi due, se non arrivate almeno a quattro non vale la pena (?!) che proietti il film”. Ma come un miracolo, di cui solo il cinema è capace, si sono presto materializzate due ragazze e… ciak, si parte!
Disavventure a parte, su questa pellicola avevo già letto diverse opinioni, molto positive quelle estere, ben più tiepide quelle nostrane. Le quali, come al solito, sono condite dalle solite espressioni “deja vu”, “strade già battute”, “niente di nuovo sotto il sole” (quale sole? Dalle mie parti ho visto molta più pioggia…). Tutti i pareri sono più che legittimi, ci mancherebbe (se no che bisognerebbe dire dei miei?), ma rimango sempre sconcertato che questo “aspetto”, ipotizzando sia vero, faccia perdere, da solo, tanti punti ad un film. Eppure se alla miriade di opere realizzate in Italia togliessimo certi temi (il precariato, le corna, gli adolescenti scemi…) penso non rimarrebbe molto, o no? Non è più importante trattare un qualsiasi tema, anche per la millesima volta, con uno sguardo nuovo, originale? E poi non capisco la critica riportata nella recensione di FilmTv sulla presunta deriva da teatro off-Broadway della messa in scena: ma dove? Boh, evidentemente è soggettivo.
“Adam” narra di una coppia di ragazzi sui 30 anni, Adam appunto e Beth, lui affetto da una forma di autismo (la sindrome di Asperger), lei una maestra d’asilo e scrittrice di favole per bambini. Ma non risulta per nulla una pellicola furba, melensa o compiaciuta: la malattia non è trattata infatti come avviene in altri casi, quando prende il sopravvento la pietà per la difficile condizione in cui si ritrova la persona colpita. Non si tratta di un film su un malato di tale sindrome, piuttosto su un ragazzo molto timido, spesso silenzioso (ma non quando discerne sull’astronomia, una delle sue principali passioni) e, nei rari casi di loquacità, diretto e sincero. L’attenzione del regista, Max Mayer, al suo secondo lungometraggio, è focalizzata sull’incontro di questi due essere umani e su come evolve il loro rapporto, tra luci e ombre, passando attraverso momenti di tenerezze, malinconie e difficoltà. Si potrebbe erroneamente dire che si tratta una commedia leggera: in realtà, pur essendoci sequenze con dialoghi brillanti ed originali, non mancano i momenti di riflessione, mai superficiale: i due protagonisti sono ben tratteggiati ed interpretati in modo eccellente, mentre rimane un po’ più sullo sfondo la famiglia di lei (ma Peter Gallagher, nel ruolo del padre, è comunque efficace). Il risultato finale è comunque molto buono: il film, snello nei suoi 90 minuti o poco più, coinvolge, incanta, diverte ed emoziona: da ricordare, fra le altre, le sequenze dell’incontro tra Adam e Beth, del planetario casalingo, dei procioni nel parco (e successivo sviluppo), del “vetraio/astronomo”, della favola di Beth nel finale.
Manhattan. Il solitario Adam (Hugh Dancy), ingegnere di 30 anni, vive solo, dopo la morte dei genitori, in un grande appartamento, lavora presso un’azienda di giocattoli ed è un appassionato di astronomia. Un giorno si trasferisce nel suo palazzo una giovane, affascinante e vivace maestra d’asilo, (Eliza)Beth (Rose Byrne), in fuga dal centro. Le loro esistenze così diverse saranno reciprocamente sconvolte: non tutto è semplice, anche per la presenza della famiglia della ragazza, in particolare del padre, non particolarmente propenso a questa relazione oltre che protagonista di vicende giudiziarie…
Altro punto di forza. Ci sono delle canzoni in particolare molto belle, di cui però ignoro l'identità. Indagherò...
Molto convincente Hugh Dancy in questo ruolo, interpretazione che lascerà certamente un solco più profondo rispetto a quella in “I love shopping” (che sono riuscito ad evitare), anche se non era stato male neppure in “Il club di Jane Austen”. Adam è tratteggiato con delicatezza, senza alcun eccesso o patetismo.
E’ sempre stata molto brava, ma Rose Byrne, raggiunta la soglia dei 30 anni, sembra ulteriormente migliorare, se possibile, come il vino col passare degli anni, in primo luogo a livello professionale ma anche con il surplus di un fascino sempre più irresistibile: anche perché i ruoli da lei scelti spesso non sono banali e non privi di rischi. La sua Beth è sì una ragazza vivace e piena di vita, ma in parte anche delusa e insicura: la relazione, terminata, con l’ex compagno non è facile da cancellare e questa difficoltà di lasciarsi andare fino in fondo è mostrata in modo molto accurato e mai retorico.
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