Regia di Valerio Jalongo, Francesco Apolloni, Giulio Manfredonia vedi scheda film
La meritoria operazione documentaristica messa in atto dal professor Valerio Jalongo con l’apporto di professionisti come Giulio Manfredonia e Felice Farina in sede di sceneggiatura risente di un fondamentale problema: l’autocommiserazione mista alla mancanza di una proposta reale. Chi ama il cinema italiano si pone continuamente il problema della crisi del cinema, al di là del modesto valore artistico della maggioranza delle opere in circolazione rispetto ad un mitico ed irripetibile passato, e le cause ce le diciamo da decenni: la chiusura delle monosale, le sale vuote, un assistenzialismo statale che ha buttato soldi a pioggia a film che non meritavano sovvenzioni economiche, l’assenza di produttori con una certa ambizione, la mancanza di un sistema industriale, la televisione commerciale.
Tutto vero, per quanto la legittima rabbia degli autori si concentri troppo accanitamente nella seconda parte sul ruolo della tv commerciale (leggi: Berlusconi) nella trasformazione negativa della mentalità, delle priorità e del gusto di un popolo anestetizzato da troppo ciarpame cafone. Non viene spiegata bene, per esempio, la vibrante protesta di Fellini contro le pubblicità nei film (con l’indimenticato slogan “Non s’interrompe un’emozione”), al di là dell’evidente incompatibilità tra il maestro di Rimini e l’uomo di Milano 2 Il documentario finisce per manifestare la stessa drammatica problematica dei suoi protagonisti (registi, produttori, distributori): la mancanza e l’urgenza di una progettazione e ancor prima di un’idea comune di come intendere il cinema all’interno di un sistema industriale nazionale.
Il modello francese resta chimerico e probabilmente non attuabile. A funzionare sono gli intermezzi con un commovente Felice Farina, ostinatamente impegnato a far vivere (cioè montare e poi distribuire) il suo ultimo film, finito nel fallimento della casa di produzione (sarebbe poi uscito nell’aprile del 2010 con il titolo La fisica dell’acqua) e il ricordo di un ottimo e dimenticato produttore come Silvio Clementelli, zio di Jalongo, e la ricerca quasi epica delle pizze dei vecchi film (ormai rovinati) sparse per lo stivale. Tra i tanti intervistati, fa macchia soprattutto il vecchio leone Dino De Laurentiis con una tesi complottistica (l’approvazione, alla fine degli anni sessanta, di una legge gradita agli americani a scapito degli europei), ma, ahimé, alla fine anche il più partigiano dei cineamatori non va al di là dell’appoggio affettuoso ad una buona e necessaria battaglia che avrebbe bisogno di fondamenta più solide e di proposte significative.
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