Regia di Erik Gandini vedi scheda film
Opere come questa costringono a porsi domande cruciali su quello che poi è il nocciolo dell'arte, nella fattispecie di quella particolare creazione audio-visiva che si vorrebbe informasse dei fatti, ma che purtroppo non può fare altro che "informare i fatti" (come diceva il vituperato Carmelo Bene). Questa particolare forma d'espressione è il documentario. Documentario che, per l'appunto, non ha ragione di esistere, se si accetta l'assioma secondo cui "qualsiasi trattazione del reale ne costituisce una mistificazione". Tradotto in altre parole: c'è la realtà e c'è la sua rappresentazione; c'è un'etica e c'è un'estetica; c'è la sostanza e c'è la forma. Prendiamo Videocracy. La sostanza è orrenda: d'altra parte, trattandosi di Berlusconi non poteva essere altrimenti. Il problema qual'è? E' che Gandini non fa assolutamente nulla per riscattare con la forma un simile abisso di orrori mediatici/politici/criminali: ma si adagia placido sulla stessa squallida estetica televisiva che pretende di biasimare. E qui casca l'asino! Videocracy è un'opera validissima politicamente in quanto ha l'indubbio merito di spalare merda sul peggior politico di sempre a livello mondiale, oltre che mafioso, speculatore e corruttore, ma come opera cinematografica non vale niente. Gandini accetta passivamente l'estetica piatta e volgare della TV, senza trasfigurarla. Non esistono "film brutti, ma necessari" o "belli, ma futili". La bellezza non è mai utile e la bruttezza è sempre dannosa. Ad ogni modo, anche sotto il profilo socio-politico, qualsiasi atto di volontariato è sempre e comunque più utile di qualsiasi film politico. Non dimentichiamocelo. Un'ultima cosa: la società dello spettacolo (da Hollywood alla TV nazionale svedese) è da sempre teatro di corruzione, favori, raccomandazioni, arrivismo, puttane e puttanieri. Il problema nostro è che chi controlla i media detiene anche il potere politico-economico.
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