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Videocracy. Basta apparire

Regia di Erik Gandini vedi scheda film

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La recensione su Videocracy. Basta apparire

di pazuzu
6 stelle

Videocracy vuole essere una sorta di trattato sociologico sui danni che la cultura dell'apparire imposta dalle televisioni di Berlusconi ha generato in Italia. Danni per lo più irreversibili. Gandini concentra l'analisi su 3 casi paradigmatici: Lele Mora (colui che "crea" i personaggi), Fabrizio Corona (il peggior parto del decennio) e uno sconosciuto disperato fenomeno da baraccone convinto di poter sfondare fondendo in sé Van Damme e Ricky Martin. L'effetto che la visione ha su uno spettatore che solitamente la tv cerca di evitarla proprio per non incappare in personaggi simili è quantomeno straniante. Perché ci si rende conto di quanto la cultura dell'apparire a tutti i costi, fondata sul nulla e insensibile al talento, sia diventata l'unica cultura possibile per l'80% degli italiani, quello che ammette di avere nella tv il principale mezzo di informazione. E far finta che il problema non esista, nascondere la testa sotto la sabbia, serve a poco, perché basta sentir parlare l'aspirante famoso di cui sopra con le sue convinzioni sul fatto che chi va in tv "ha i soldi ha le donne: ha tutto", basta assistere agli applausi scroscianti del pubblico dopo che una ragazza ha messo in piazza il sogno di diventare una velina per sposare un calciatore, basta rendersi conto dell'entusiasmo con cui due ali di folla acclamano Mora e Briatore perché famosi potenti e vincenti, per concludere che la cultura dell'immagine ha ormai soppiantato quella basata sulla conoscenza e su qualsiasi fondamento morale. Il discorso è lungo e complesso, e, se da una parte l'intento del film è proprio quello di destare le coscienze e stimolare il dibattito, dall'altra sorgono diverse perplessità sul valore complessivo dell'opera. Se infatti da una parte sorge il dubbio che fare da cassa di risonanza per le gesta di simili loschi figuri non porti ad altro che ad accrescerne la notorietà prestandosi al loro gioco, dall'altra si ha l'impressione di assistere ad un documentario qualitativamente nulla più che ordinario, sia dal punto di vista tecnico che sostanziale: dal punto di vista tecnico perché l'autore ci mette davvero poco per renderlo personale, ma si limita a qualche intervento con la voce off e qualche rallenty qua e là; dal punto di vista sostanziale perché di fatto le cose narrate sono quasi tutte più o meno note al pubblico (italiano). In pratica sembra di vedere una puntata di "Report" con giusto un pizzico di ironia in più. E il fatto che il film riesca comunque a raggiungere il suo scopo, ossia quello di inquietare chi ancora crede ci siano dei limiti alla decenza, è dovuto, più che a meriti specifici dell'autore, alla gravità della situazione in sé. Riguardo la censura (al film è stata negata con un pretesto la possibilità di avere trasmesso il trailer sulle reti Rai) credo sia stata imposta dai servi di Sua Emittenza per un eccesso di zelo: perché Berlusconi non è il fulcro del film, non si fa alcun cenno ai suoi processi, e chi, vittima della cultura dell'immagine da lui stesso introdotta, dovesse vederlo, anziché guardare la luna si soffermerebbe sicuramente ad ammirare il dito (oppure, perché no, il pisello di Corona).

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