Regia di Stefano Calvagna vedi scheda film
Forse davvero questo Ultimo ultras (ma 'ultras' in che senso? Ultrà impropriamente virato al plurale? Ma plurale perchè, se è uno solo?) si propone di fare luce sul piccolo mondo di un uomo solo e disperato dalla miseria della propria vita, anche se lui pare non rendersene conto nemmeno lontanamente. Forse quindi il film ha come obiettivo quello di giustificare la violenza inusitata e gratuita con cui la domenica il protagonista - e tutti i suoi amichetti a lui identici come automi programmati per uccidere umani senza fare domande - sfoga le frustrazioni della grigia settimana lavorativa. Ma neppure questo è chiarissimo. Calvagna ha un volto cinematografico: purtroppo per lui però le sue potenzialità in questo campo artistico finiscono lì. Perchè come attore è davvero improponibile (ma nel film c'è chi sa fare ben di peggio, se questo può in qualche modo rassicurare) e come regista ha limiti altrettanto notevoli. Probabilmente la cosa più fastidiosa di tutte è il tremolio continuo della camera: anche nelle inquadrature che si presupporrebbero fisse, la scena traballa come se la macchina da presa fosse in mano ad un nonagenario sotto cocaina. Tralasciamo la banalità di certi punti della storia, che comunque non è scritta malissimo e si lascia seguire; ciò che più colpisce è piuttosto il tentativo di dare un volto umano allo scontro ferino e feroce fra gli automi. "Non potrò mai farmi una famiglia, perchè sono e sarò sempre fiero di essere un ultràS", chiude e chiosa la pellicola così la voce del regista/protagonista: ed il delirio è tutto autobiografico.
La triste storia di un'ultrà: solitario per scelta, ha come unica amica una prostituta, tenta di frequentare una cassiera di un punto scommesse mentre prosegue nella sua 'carriera' di provocatore sfasciateste nello stadietto del paese. Suo padre, unico parente con cui parla, non fa che tentare di dissuaderlo: invano, perchè la strada dell'ultrà non prevede marcia indietro. Nemmeno dopo aver ammazzato un 'rivale'.
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