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Tetsuo: The Bullet Man

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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La recensione su Tetsuo: The Bullet Man

di OGM
8 stelle

Il demoniaco fantasma che pervade questo film è una bestialità architettonica e concettuale, che utilizza l’incubo tecnologico per sopravanzare la nostra capacità di comprendere e le nostre naturali difese contro il dolore. Contro gli attacchi di questa entità aliena, dalla meccanica mostruosamente potente, all’essere umano non resta altro che robotizzare le proprie emozioni, convertendole in impulsi elettrici, in grado di plasmare la carne esattamente come gli onnipresenti apparecchi delle telecomunicazioni hanno ormai rimodellato, in maniera preponderante ed invasiva, gli spazi ed i tempi della nostra vita quotidiana. L’“uomo con i cavi” del primo Tetsuo è la persona che raccoglie energia dai campi elettromagnetici dell’era telematica e la trasforma in protesi di rabbia e violenza: il motore del suo corpo è una primitiva ferocia incanalata lungo un’appendice bionica, che protende, verso l’esterno, gli effetti dei fisiologici processi di crescita, di evoluzione, di reazione. Il ferro che lo riveste è forza solidificata, resistente ed eterna, che, però, in quanto tale, non conosce le increspature del pianto e la malleabilità del perdono, e per questo diventa un’opprimente prigione. La regia di Tsukamoto presenta una rigidità metallica ed una ritmicità sintetica che sembrano nascere dal congelamento dei sussulti dell’anima, costretti a vibrare in un fremito psichedelico, che della sofferenza riproduce soltanto un vago e sordo rimbombo. L’organismo artificiale inventato dal professor Ride è un’arma invincibile verso l’esterno, nei confronti di tutti i nemici, compresa la morte: ma, verso l’interno, è una corazza che stritola il cuore. Il rapporto tra la figura fragile, materna e femminile di Yuriko, molle di amore e sensibilità, e grondante rancore ed istinto di vendetta, e l’“ibrido” Anthony, il marito mezzo uomo e mezzo androide, è come  il contrasto tra un acuto grido di  dolore ed una pesante macchina da guerra,  tra lo sgorgare di una lacrima ed il fragore di una deflagrazione.  I superpoteri sono, per il protagonista, l’involucro indistruttibile che lo aliena dall’umanità, tramutandolo in un perfetto ingranaggio di cervello e membra, di pensiero ed azione, che esclude i vincoli della morale, le logiche della memoria, le ragioni dell’affetto. In questo senso, il cyborg è un'invenzione nel contempo perfetta e degenerata. È, quindi, il modello in cui si materializza la forma più pura e terrificante dell’orrore: quella in cui il genio è messo al servizio della distruzione, sotto la spinta di una disperazione che induce la cecità della follia. Sotto il profilo estetico, Tetsuo è la fantascienza che si riduce ad una sterile combinazione di dinamica e metallurgia, dalla coreografia acrobatica ma spenta, incapace di provocare vertigine;  e intanto il fuoco dei razzi propulsori delle astronavi, delle eruzioni vulcaniche, delle esplosioni stellari, ha perso tutto il suo ardore, del quale le luci al neon e le rocce fumanti restituiscono solo un remoto e tiepido riflesso.    Quella che, secondo i tradizionali canoni del genere, era la spettacolarità della devastazione, è ora sostituita dalla sua ombra stilizzata: una sorta di grafica destrutturante, che scuote, svuota, rimescola i soggetti, facendoli inghiottire da un caos sfocato ed informe, il quale, più che una dirompente rivoluzione cosmica, è un tessuto grezzo, fatto di tanti piccoli vortici intrecciati. Con la trilogia di Tetsuo, ed, in particolare, con questo film, l’incanto del fantastico, più che essere spezzato, viene frammentato da una frenesia allucinata, che è l’estremo ed indescrivibile frutto di una parossistica, ed umanissima, ansia di onnipotenza ed immortalità.

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