Regia di Brandon Camp vedi scheda film
Questa è l'ultima settimana di un'estate "senza cinema", si passerà dal Nulla al Troppo, così, di colpo (il prossimo week-end usciranno una dozzina di nuovi film!). Tra le uscite della settimana in corso la parte del leone (anzi meglio dire "del gatto") la fanno, sulla carta, il parrucchino di Nicolas Cage e le smorfiette di Jennifer Aniston, con due pellicole che la critica compatta ha massacrato. Eppure io, se da una parte confermo la repulsione per le chiome posticce di Cage, però la storiella zuccherina con la Aniston in qualche modo confesso che mi intrigava, forse suggestionato da un trailer anche quello straboccante glucosio, ma percorso da un sapore intimista che toccava certi nervi scoperti della mia natura sentimentale. Dopo avere visto il film, mi chiedo il motivo di tanto furore distruttivo colto in certe critiche di fuoco, molte delle quali dominate dal pregiudizio. Rispetto certamente quei pareri che hanno bollato da subito la pellicola come una stronzatina melensa che impone lacrime e sospiri ad un pubblico che si suppone disposto a farsi manipolare in questo senso. Io non voglio adesso qui fare l'originale o distinguermi, ma, pur riconoscendo l'evidente impronta romantica dell'opera, ho maturato un punto di vista piuttosto diverso. Consapevole di esprimere un'opinione minoritaria, io ho percepito uno spirito "indie", pervaso di certo intimismo minimale, che è poi lo stesso che caratterizza gran parte delle pellicole che transitano dal "Sundance" festival. Ecco, io ho visto un'operina lieve, contaminata da uno spirito sereno, dolce, buono, positivo. Buonismo? io direi piuttosto "positività", che è un pò diverso. Cosa c'è di male nel mettere in scena i destini di persone costrette a fare i conti con le ombre del proprio passato perseguendo un desiderio di serenità? Sotto questo aspetto, a me non è sembrato un film troppo furbo o preconfezionato. Solite cose, d'accordo. Soliti percorsi di vita. Gente che sbaglia. Gente che ha paura d'amare. Donne che rivelano più coraggio e buon senso degli uomini. Decisioni difficili da prendere. Il passato che torna e punta il dito accusatorio. Un nuovo amore come terapia. Insomma, le nostre vite, le vite di tutti, rappresentate nella solita "commedia umana". Poi, se qualcuno è determinato ad etichettare tutto questo come "melensaggine", liberissimo di farlo. E poi una considerazione. Fa comodo al marketing promuovere il film come la storia di una coppia; e lo è senz'altro, ma a mio avviso è prima di tutto un'altra cosa. E' la storia di un uomo condannato all'infelicità. Anche se su questa infelicità ha costruito il suo successo (un best seller scaturito dal dolore per la drammatica perdita della moglie), egli pare incapace (travolto dall'ossessione) di affrontare di petto i fantasmi del suo passato, permettendo a questi ultimi di condizionarne pesantemente l'esistenza. Eppure l'àncora di salvezza è lì a due passi, nel viso curioso ed impertinente di una graziosa fioraia. E io a questa cosa ci credo: al di là della finzione cinematografica, nella vita vera, il sorriso di una donna può compiere guarigioni miracolose, un suo sorriso disarmante può smuovere le montagne, se arriva al momento giusto, o in un momento in cui un uomo sembra perduto e assediato dalla negatività, predestinato alla depressione. Evviva dunque quel coraggio dei sentimenti che spesso le donne mostrano di conoscere molto meglio di noi maschi. In sintesi così oserei sintetizzare questo film: sullo sfondo (documentato da numerose belle immagini) della città di Seattle, un uomo riesce a chiudere i conti col passato e a conquistarsi la possibilità di aprire un capitolo nuovo. Proprio come dice la frase conclusiva del film: "Ogni volta che una storia finisce, là ne comincia un'altra". La vicenda ci racconta di un uomo che attraversa l'America con la sua valigia (vi ricorda Clooney, non dite di no!) con una missione da compiere, la stessa ad ogni tappa: aiutare le persone straziate da improvvisi lutti famigliari a rielaborare quelle perdite e da lì porre le basi per una "ripartenza". Non è facile. Ma lui può, perchè ci mette del suo. Nel senso che nel suo intimo non si dà pace per la prematura scomparsa della moglie. Egli è diventato un guru mediatico, conduce seminari e conferenze e scrive libri su come risolvere un problema da cui lui stesso non riesce ad uscire vivo. Uomo dunque piuttosto confuso, nonchè al centro di un caso umano singolare. Finchè non incrocia il suo cammino con quello di una "fatina". Una bella fioraia appena uscita malconcia da una delusione d'amore, ma che rispetto a lui è molto più dotata di risorse e di buon senso. La ragazza è piena d'energia e (dato che scocca inevitabile la freccia di Cupido) infonde all'uomo depresso un pò della sua vitalità, fornendogli l'input giusto per affrontare i suoi problemi. Le schermaglie fra i due proseguiranno tra alti e bassi fino al momento in cui lui si deciderà ad affrontare a viso aperto, e a mani nude, il fantasma che lo perseguita, vale a dire il ricordo dell'incidente d'auto che gli portò via la moglie. La fase iniziale del film, quella dell'incontro tra i due personaggi, e relativo corteggiamento, è ovviamente quella più insistita nel trailer e nella promozione, accreditando la tesi di un prodotto "per coppiette", ma se vedrete il film, vi accorgerete che esso non è solo questo. E veniamo all'ottimo cast. Aaron Eckart è un attore che ho sempre apprezzato, e credo di avere visto tutti i film a cui ha preso parte. Jennifer Aniston è un caso a parte. Premesso che prima d'ora non l'avevo mai vista recitare, avevo maturato nei suoi confronti una certa antipatia, a forza di sentirne continuamente parlare in termini di gossip. In questo film sfoggia il suo (consueto, mi dicono) repertorio di mossettine e smorfiette: però devo dire che queste sono tutto sommato funzionali al personaggio di ragazza curiosa, allegra e spiritosa. Certo, oggettivamente quel suo aspetto, diciamo così da "Barbie imperfetta", la limita un pò e necessita di ruoli strettamente su misura. Da segnalare l'illustre cameo di un magnifico veterano di Hollywood, l'intramontabile Martin Sheen. E per ultimo ho tenuto il più bravo di tutti, l'eccellente John Carroll Lynch. Ho sempre avuto un debole per questo attore, finora troppo spesso legato a ruoli minori: e anche in questo caso ci mostra un talento stupefacente. Segnalo la sua indimenticabile partecipazione al thriller "Zodiac", dove offrì una performance breve ma assolutamente memorabile.
Il film è arricchito da una piacevole colonna sonora orientata sullo stile indipendente, nella quale spiccano due celebri realtà "indie" come Eels e Badly Drawn Boy. Ma a testimoniare che il film è molto più di quel prodotto "per fidanzatini" che qualcuno vorrebbe far intendere, riscontriamo nella sceneggiatura un sacco di idee e trovate gustose disseminate qua e là. Per esempio lo special guest Rocky, il pappagallo più divertente mai visto al cinema. Oppure la mania (che immagino susciterà l'interesse del grande Stefano Bartezzaghi) da parte della fioraia di scrivere di nascosto sui muri degli alberghi delle parole inconsuete e complicatissime. O ancora degli itinerari notturni alla scoperta di una Seattle by night che va dalle tombe di Bruce e Brandon Lee fino alle gare di poesia creativa improvvisata nei localetti alternativi della città. Per tacere poi di certe vedove che utilizzano le ceneri dei mariti defunti per preparare dolci con le uvette. E altri cento dettagli che fanno di questo film, se non esattamente "Qualcosa di speciale"...sicuramente almeno "Qualcosa di non banale".
Voto: 7/8
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