Regia di Santiago Loza vedi scheda film
Mateo soffre di attacchi di panico notturni che di certo hanno a che fare con la sua incapacità di accettare sé stesso e la ritrosia al relazionarsi agli altri, e sembra trovare la pace solamente quando si immerge nell'acqua della piscina, presso la quale si reca sempre e rigorosamente solo; Maria nell'acqua della propria vasca riflette sul proprio malessere, e quando esce di casa si lascia abbordare per lo più dal primo che passa: per uccidersi un po' ogni volta, o per concedersi ogni volta un'opportunità per ricominciare a sentirsi viva. Il primo incontro tra i due avviene in un ambulatorio ospedaliero: lei viene retribuita per sdraiarsi nuda su una barella, mentre lui è lì con altri studenti di medicina per esaminarle l'apparato riproduttivo. Un accenno di visita ginecologica e un successivo vago incrocio in piscina sono tutto ciò che è avvenuto tra loro quando lui, qualche giorno più tardi, si ritrova a seguirla per proporle di accompagnarlo - anche pagata - in un viaggio che li porterà lontano. Senza chiedere spiegazioni sul come, sul quanto, sul dove e sul perché, Maria si dice d'accordo, iniziando con lui un percorso fatto di lunghi silenzi durante il quale, forse, concederanno l'uno all'altra scampoli delle rispettive intimità.
La invención de la carne. Il titolo del film dell'argentino Santiago Loza fornisce da subito le coordinate cui far riferimento, la chiave di lettura per decrittarne il linguaggio laddove le parole latitano e la comunicazione avviene in massima parte attraverso i corpi: il corpo di Mateo, che lo rifiuta e lo vive come un peso od un limite, tanto da temere anche il più fisiologico ed umano dei riflessi, e il corpo di Maria, che lo utilizza come strumento di ricerca, come collettore delle emozioni che non riesce a provare; due corpi che rispecchiano due stati di sofferenza opposti ma simili, con lui che rifugge il contatto col prossimo per continuare a reprimere la propria inquietudine, e lei che ne cerca sempre di nuovi stando attenta a sostare in superficie, in attesa di una scintilla che non vuol (fare) arrivare.
Limitando i dialoghi al minimo indispensabile, il regista restituisce i conflitti interiori di Mateo e Maria attraverso le reazioni alle sollecitazioni esterne, dai minimi gesti fino a tutta la gamma dei rumori, grazie ad un lavoro di gran cura su immagini e suoni, con le prime chiamate a registrare ogni vibrazione della pelle, e i secondi a scavarci dentro. Così, tramite un pedinamento circospetto e stringente, stabilisce con i due un legame diretto ma gelido, facendo de La invención de la carne la riproposizione filmica dei loro caratteri umbratili e schivi, e per questo rischiando da un lato di renderlo ostico, ma dall'altro rivelandolo affascinante e suggestivo nella costruzione, nella gestione e nella definizione del loro rapporto. Tuttavia, se tutto procede al meglio in quanto a forma e sensazioni, e se la non-relazione tra Mateo e Maria - seppur singolare e complessa - evolve in maniera lineare e plausibile, lo stesso non può dirsi per la storia in sé, che nella seconda parte prende una piega cervellotica e mediamente improbabile che incide parzialmente in negativo sul giudizio finale sull'opera: un'opera che, fatta la dovuta tara, vale ampiamente la visione per il suo essere ardita, sentita e sensibile.
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