Regia di Santiago Loza vedi scheda film
Colui che ha subito un danno diventa pericoloso perché sa di poter sopravvivere… È la sopravvivenza che lo rende tale perché non ha pietà. Sa che gli altri possono sopravvivere, come lui…
Comincio a pensare a qualcosa del genere già dopo le prime scene, anche se questo discorso non è mai esplicitato, e lo penso senza rendermi conto che il cervello sta recuperando frammenti di concetti da un altro film, che è appunto quello di Malle. Ma non mi interessa di Malle e del suo film: mi interessa di questo, e del suo potere di penetrazione al di là di ogni immedesimazione.
Niente è spiegato. Non che ci importi, perché nei due protagonisti si intuisce che la sofferenza e il problema di esistere nascono da un danno subito, e non importa se il carnefice sia identificabile in qualcuno in carne e ossa o sia bastato nascere, per subirlo. La consapevolezza della presenza di un danno cresce nell'arco del film, ma è dai primi fotogrammi, quelli perfetti, duri e definitivi con cui la storia inizia a prendere forma, che mi innamoro di ogni singola immagine e capisco che non solo mi piacerà, che già mi sta attirando con questo suo sguardo magnetico, ma soprattutto che ho bisogno di capire cosa vuole raccontarmi, in che modo mi farà male, o bene, o entrambe le cose.
Lui è uno studente di medicina. Si incrociano la prima volta in un ambulatorio in cui lei si offre come volontaria per visite ginecologiche a gruppi di studenti o specializzandi. La prima scena è un pugno nello stomaco. Non per la sua nudità in generale o il suo sesso in particolare, che forse è l'immagine più normale che ci verrà mai offerta di lei nell'arco dell'intero film: ma per il suo corpo gelido e livido e il suo sguardo vitreo e terrorizzato, che terrorizza noi spettatori perché, da subito, sembra un cadavere spostato con malagrazia e non una ragazza volontaria da trattare con cura, e magari anche con riconoscenza e rispetto.
Ma come si può intuire dal titolo, la carne è centrale in questa storia di corpi. Perché i corpi sono contenitori di cui non è stato spiegato lo scopo alla nascita, e dunque se smette di funzionare correttamente, finisce per rendere necessario interrogarsi sul significato di tutto: se stessi, gli altri, il modo in cui tempo e spazio si fondono e trasformano l'esistenza delle persone fino a un punto di arrivo che sembra non coincidere mai con uno scopo.
La carne. Bistrattata, snobbata e sottovalutata come fosse sempre cosa secondaria, di poco conto e tutto sommato volgare e superficiale, rispetto a cervello, anima, spirito. Ma la carne è lo strumento. Il primo, quello che più facilmente l'essere umano usa, da subito, per interagire con gli altri e per affermare e definire se stesso. Così apparentemente intuitivo, come sistema, che appunto non viene fornito di istruzioni per l'uso, come si diceva. Finché qualcosa non va storto.
In quel momento, in quel caso, riappropriarsi dei meccanismi della carne attraverso l'uso del corpo è fondamentale, vitale, improrogabile, e fallire può essere fatale, perché in quel caso si crea uno scollamento tra il dentro e il fuori, tra carne e pensiero, tra se stessi e tutto il resto. Questo accade ai due protagonisti, uniti inconsapevolmente in un percorso, in un crudele tentativo di riappropriazione della propria identità attraverso l'esame e la sperimentazione dei meccanismi della carne. Nessuno dei due possiede (più) gli elementi necessari a iniziare (o riprendere) una vita normale. E per questo si isolano da ogni contatto con altri esseri umani, che sia banale, normale, sano o conflittuale. Niente. Azzeramento totale. Ma entrambi sentono il bisogno di gettarsi verso il mondo esterno in qualche modo, sentono di dover rischiare, fare tentativi, aprire dei piccoli graduali spiragli nel buio che li circonda.
Lei cerca di riappropriarsi del piacere, del contatto, della propria sensibilità. Cerca delle scosse, cerca di riprendere a provare qualcosa, dentro o fuori, cerca di essere artefice e non vittima di ciò che prova o che accade al proprio corpo. Offrirsi nuda agli studenti o al primo uomo che la abborda per strada non è strafottenza o superficialità, non posiziona il sesso ad un gradino infimo di disprezzo, ma anzi è lo strumento che le rimane per fare piazza pulita e aspettare di sentire di nuovo, da lontano, un'emozione vera, reale, genuina, non importa se di segno positivo o negativo.
Lui è alla ricerca di un'identità in modo ancora più complesso. A partire da quella sessuale, che non è chiara da subito: sembra indubbiamente attratto da lei, ma in una lunga sequenza, spiazzante per la sua semplicità e per il rispetto di cui si veste lo sguardo, lo vediamo insieme a un ragazzo che sicuramente è omosessuale. Non voglio svelare altro, ma per inciso è una di quelle sequenze in cui lo sguardo del regista accontenta tutti, spiegando senza mostrare troppo, in modo da coccolare i suoi personaggi senza esporli. Accadrà anche in altre parti del film, come ad esempio quella in cui è mostrato il viaggio in auto che i due fanno insieme, dopo che lei ha accettato di accompagnarlo senza nemmeno sapere dove e perché.
Ma l'identità di lui è qualcosa di ancora più problematico: soffre di attacchi di panico notturni e di giorno è completamente solitario (come del resto anche lei). La sua pace è l'acqua, e le lunghe nuotate in piscina. Immerso in questa rassicurante vasca amniotica recupera la tranquillità che gli manca nel quotidiano, fosse anche solo con la madre, che dovrebbe essere comunque un punto di riferimento, figuriamoci quando si trova in contatto forzato con la gente, con chiunque lo ponga di fronte al dramma della definizione di sé ("Che cosa penseranno di noi? Che cosa immaginerà la gente
che ci sta fissando?" - "T'importa?" - "Cosa?" - "Quello che pensano." - "Non lo so."). Se deve semplicemente esistere in mezzo agli altri, lui è spaesato, a disagio, irrequieto. In piscina sembra essere se stesso. Come in una sequenza completamente acquatica, che non ho paura di definire sublime, in cui lentamente si avvicina a un gruppo di mamme che immergono i loro neonati per farli cominciare a nuotare. L'intera sequenza è totalmente ripresa da un punto di vista interno all'acqua, e ne deriva un flusso ovattato di silenzio ipnotico, che ovviamente non è silenzio ma suono: il suono dell'acqua e di respiri e di movimenti.
Sul suono c'è tanto da dire. Il lavoro sul rumore operato nell'intero film è legato per me all'idea di richiamare lo spettatore verso una dimensione fisica, completamente fisica, di oltrepassare la realtà filmica per vivere il problema della carne sulla propria pelle, per provare a percepire la difficoltà di definizione e di interazione che hanno i due protagonisti. Non riesco a ricordare se ci fosse musica, anzi, in realtà sono sicura che ce ne fosse, ma il suono, l'accurata scelta di sollevare dal terreno tutto, tutti i rumori, e alzare tutti i volumi, mi sembra un modo per associare alla materia una presenza, per operare una specie di trasmissione 3D verso chi guarda la pellicola, facendogli dimenticare che si tratta di una pellicola. Non sentiamo, banalmente, solo il rumore dei passi, delle porte, della natura, degli oggetti.
Sentiamo il rumore dei tessuti. Dell'acqua che si muove, dell'acqua calma che si muove. Sentiamo perfino il rumore della schiuma e delle bolle di sapone. È un invito ad estendere la percezione: è un invito a distinguere l'essenza degli oggetti inanimati da quella della carne, che appunto un'anima ce l'ha, e forse non fa rumore come il resto del mondo, ma fa rumore dentro, quando smette di funzionare a dovere, quando si ribella e cerca una dimensione sana o una direzione per far esplodere la sofferenza e poi riprendere a vivere. Forse è per questo che dopo pochi minuti il film comincia a farmi male. Di carne che fa male perché funziona in modo storto ne so qualcosa. Di dolore che cerca una via fisica verso l'uscita, anche. Di corpo che cerca nuove definizioni di sé per sopravvivere o riprendere a vivere, pure.
L'invenzione della carne è dunque questa: è l'unico mezzo che abbiamo per essere, per fare, per stare al mondo e per interagire. Non è scontato, non è automatico. Cercare di scoprire i modi per farla funzionare e appropriarsene, o riappropriarsene, può essere crudele, violento e complicato. Scoprire pazientemente quale sia il proprio personale cammino verso la comprensione è l'unica possibilità che abbiamo per non soccombere.
Lui e lei si avventurano su un percorso che a un certo punto si incrocia e si sovrappone. Un percorso che ha a che vedere con degli elementi comuni: acqua, cibo, sesso. Il cibo sembra sempre e solo dovere, e infatti lui mangia quel che gli prepara la madre, ma senza piacere, lei sembra rifiutarlo in blocco (la vediamo soltanto bere). Nel sesso sembrano opposti, ma in realtà sono due modi di isolarsi solo apparentemente in contrasto. Il sesso rimane una cosa individuale anche quando è condiviso.
Ma l'acqua. Il film è completamente intriso di acqua. Lei in piscina come lui, lei in vasca da bagno, loro in un piccolo bacino d'acqua naturale (un laghetto?). Se rimango sul vago è perché cerco di non raccontare troppo, per non rovinare la potenza della storia. Ma l'acqua ha un potere immunizzante e contemporaneamente purificante tale da sembrare assolverli entrambi, o almeno sospenderli. Nell'acqua della piscina lui sembra rinascere e prendere contatto con la propria parte più intima, remota, originaria. Non importa se questo lo porterà a superare il suo male di vivere, importa che sia la scintilla per prenderne coscienza evitando di continuare a subirlo passivamente.
L'acqua lava, o almeno smuove. In acqua accade tutto, dall'acqua sopravvivono tutti, perfino la madre quando un giorno sviene mentre sta lavando i piatti e si ritrova, al risveglio, in una pozza formata dal rubinetto rimasto aperto.
Di più non posso raccontare. Posso sottolineare la presenza di uno sguardo paterno, che a volte guarda e a volte nasconde, e non per pudore ma per protezione. Potrei parlare della forza simbolica di certe suggestioni, madri, figli, bambini e adulti, madri bambine, chiese e pianti in ginocchio, dell'unico formidabile nudo di entrambi, con tutta la sua muta potenza. Ma il messaggio più forte e necessario va scoperto guardandolo, va aspettato nel finale, onesto e sincero, doloroso e positivo.
La invencion de la carne è un film che dovrebbero vedere tutti e forse dovrebbe essere spiegato a molti: perché insegna a vivere, a decidere attivamente della propria vita, e soprattutto a non giudicare, o almeno a sospendere il giudizio. L'essenziale, insomma.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta