Regia di Grant Heslov vedi scheda film
Più che un film, un trip pacifista: un saggio, tra l’ironico e l’allucinato, intorno all’idea secondo cui, se è vero che la guerra non può mai essere a fin di bene, buoni possono essere, perlomeno, i mezzi impiegati per combatterla. La storia abbraccia il new age con divertito entusiasmo, ma senza dimenticare la prudenza, astenendosi da ogni discorso troppo impegnativo che rischierebbe di sforare nella religione o nella fantascienza. Il messaggio nonviolento ed antimilitarista rimane quindi confinato nell’ambito di un’utopia sfuggente, avvolta in un buffo esoterismo con gustosi elementi sciamanici, rockettari ed animalisti, ma troppo abbozzati e incerti per risultare veramente surreali. La satira grottesca, in effetti, sembra diretta, più che contro i cosiddetti movimenti alternativi, contro il mito cinematografico dei supereroi: i superpoteri, da fenomeno fantastico che sconvolge il destino del mondo, sono qui declassati al rango di speculazioni pseudoscientifiche, fatte su misura per attirare finanziamenti statali, creare condizionamenti psicologici di massa e realizzare proficue operazioni di marketing. Lo spunto è arguto, ed è rivolto al lato in ombra della globalizzazione: quello in cui si annidano i segreti di stato, i dossier riservatissimi, le informative dell’intelligence e che, forse, è solo frutto di una finzione politica, una riserva di fandonie pronte all’uso, il ricettacolo virtuale di ipotesi intriganti e temibili, capaci di tenere in scacco, con la sola ombra del sospetto, l’opinione pubblica di nazioni intere. Ne L’uomo che fissa le capre, il quadro è volutamente confuso, come il mondo in cui non conta ciò che è vero, ma ciò che è reso credibile: e a questa categoria appartengono ogni cosa e il suo contrario, perché infinito è il potere della (auto)suggestione, prodotta dalle droghe chimiche, spirituali, televisive o, semplicemente, dalla forza, penetrante e subliminale, dell’autorità.
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