Regia di Todd Solondz vedi scheda film
VOTO : 6,5.
Todd Solondz è un regista integro che, nel bene e nel male, segue la sua strada e che con questo film torna ad incrociare la strada con i personaggi del suo lavoro probabilmente più bello, senza dubbio quello che è maggiormente riconosciuto a livello internazionale, ovvero “Happiness”.
Cast completamente diverso, ma lo spirito non è dimenticato e riaffiora immediato già nei primissimi minuti.
La famiglia Jordan è da tempo stata disgregata da una serie di problematiche, ma nel corso degli anni ancora parecchie cose non si sono sistemate.
Joy scopre che il marito Allen le ha mentito e non è ancora del tutto “guarito” dai suoi problemi “criminali”, così parte per andare a trovare la madre e le sorelle Trish ed Helen.
Trish ha trovato un uomo diverso con cui stare e dimenticare quanto accaduto, mentre i suoi due piccoli figli hanno già problemi da adulti.
Helen è stanca della sua vita hollywoodiana, mentre Bill (Ciaran Hinds), il marito di Trish, è appena uscito dal carcere e cerca di stabilire un contatto col figlio più grande Billy.
Solondz fotografa un’umanità in perenne difficoltà che il titolo originale “Life during wartime” testimonia alla grande, rispetto al titolo scelto per la versione italiana che invece trova una sua ragion d’essere nel richiamare i due termini più utilizzati nei diversi dialoghi.
Il marchio di fabbrica rimangono sempre i dialoghi, spesso caustici (mediamente belli con alcuni picchi), a volte talmente tanto da avanzare nel grottesco andante (vedi le scene dei due figli di Trish con la bimba che cerca i suoi psicofarmaci, il figlio che vuole sapere cosa fa un pedofilo ad un bambino maschio e la donna che candidamente ammette di essersi tutta bagnata quando il suo uomo le ha toccato il gomito), ma anche a livello puramente registico, pur non essendoci certo un grande dinamismo, di tanto in tanto si registrano scelte di un certo peso nella visualizzazione dei dettali di contorno.
Altra nota positiva è la fotografia di Ed Lachman che valorizza i colori vivi delle abitazioni e dei quartieri, così fintamente vivaci rispetto alla realtà che ci aleggia all’interno.
Insomma il film ha il suo filo conduttore (sospeso sui concetti di perdono e memoria), sa essere sprezzante, è ben scritto, è orgogliosamente lontano dal mondo finto dove tutto deve andare sempre bene per forza, ma con me non è scattata la scintilla.
Sarà forse perché il paragone con lo stupendo “Happiness” viene spontaneo, e non è certo positivissimo per questo lavoro, sarà forse per un finale che arriva così improvviso da sembrare quasi una pietra tombale (ma questo potrebbe anche essere un pregio), sarà perché un paio di ruoli della famiglia Jordan sono proprio solo abbozzati.
Sarà probabilmente un semplice mix di queste sensazioni, aspettative, richieste, in ogni caso rimane un prodotto personale, assolutamente interessante anche se non del tutto andato a bersaglio.
VOTO : 6,5. Lavoro sempre di buona fattura, ma secondo me è riuscito ad essere più incisivo ed acuminato in altre circostanze.
VOTO : 6+. Più che sufficiente.
VOTO : 6,5. Raggelante.
VOTO : 6+. Per niente male.
VOTO : 6,5. Decisamente brava.
VOTO : 6+. Partecipazione di contorno, ma di buon livello. Guest importante.
VOTO : 6. Fa il suo.
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