Regia di Todd Solondz vedi scheda film
Il film consiste per la maggior parte in una serie di dialoghi fra due personaggi che, posti l’uno di fronte all’altro in implacabili controcampo, rievocano il proprio passato, si chiedono scusa, cercano di comprendersi, promettono di cambiare; a volte magari uno dei due finisce per mandare al diavolo l’altro (come il fantasma dell’ex corteggiatore suicida, respinto anche da morto), con effetto comico immediato ma con retrogusto amaro: non si può essere diversi da ciò che si è, non si può separare con nettezza la ragione dal torto. Come in Happiness (di cui questo è una sorta di straniante sequel, con interpreti diversi), ciascuno esibisce la sua mostruosa normalità (e quello che viene ripetutamente lodato proprio in quanto normale è uno che ha votato Bush e McCain...): un’umanità profondamente degradata, al cui paragone anche i terroristi islamici possono avere le loro ragioni. Solondz conferma di avere uno degli sguardi più lucidi sulla società americana contemporanea: come lo Spike Lee di La 25° ora, sa parlare in modo intelligentemente obliquo dell’11 settembre, senza facilonerie, senza assoluzioni a tutti i costi, ma con la voglia di riuscire a guardare oltre. Il titolo italiano è completamente diverso dall’originale Life during wartime (che forse si è ritenuto potesse generare equivoci sul contenuto) ma non stravolge lo spirito dell’opera, semmai lo interpreta in modo un po’ banale, e ha comunque una non trascurabile evocatività.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta