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Mr. Nobody

Regia di Jaco Van Dormael vedi scheda film

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La recensione su Mr. Nobody

di EightAndHalf
4 stelle

Il faccione di Jared Leto giganteggia nella sua flebile conformazione per una notevole parte di Mr. Nobody, ed è anche comprensibile, poiché si tratta del protagonista. Peccato che lui stesso debba affrontare una lunga serie di trasformazioni e di cambi di rotta che la storia apparentemente disorientante istituisce nel suo montaggio frenetico e nella sua paradossalmente barbosa vivacità, e non sempre il giovane cantante (attore?) riesce a sopperire simile compito. Ma, diciamolo, l’esito finale non dipende solo dalla sua insipienza recitativa (ci vorrà il mitico Rayonne per fargli fare il bravo attore da Oscar o quantomeno destare la simpatia di tutti in maniera più sistematica): è tutto il film a ispirare falsità, a tratti faciloneria, per non dire sfacciata ipocrisia. Preso all’interno della produzione americana il Mr. Nobody di Jaco van Dormael fa pure la sua bella figura, ché cerca (come fin troppi, a dirla tutta, oggigiorno) a fare degli effetti speciali un mezzo ulteriore per fare filosofia (ma che filosofia!), mirando quasi, e non si esagera, all’esistenzialismo. Ben venga dunque: la funzionalità di questa grande confezione metallizzata è sicuramente lampante, utile a comprendere la complessità delle variabili casuali che caratterizzano le possibili esistenze di Nemo Nobody (nome più cristallino e ridicolo non poteva essere scelto). Il nostro protagonista si sposta da un’esistenza all’altra, secondo alcune sue decisioni (come se sulle sue spalle di essere umano pesasse l’intero bagaglio del mitico libero arbitrio), perché un angelo, prima che lui nascesse, non l’ha “toccato” e non gli ha permesso di dimenticare. Dimenticare cosa? Tutto, perché chi ancora deve nascere sa tutto, in quel bianco paradisiaco che è la condizione pre-natale. Una volta nato, dunque, Nemo (chi gli ha dato questo non-nome?!) capisce già di sapere vedere il futuro, sa bene cosa voglia dire il passare del tempo e la complessità dell’esistere: quello che non sa è cosa possa comportare una decisione. Infatti la moraletta pronta nel finale del film è che ognuno è responsabile delle proprie azioni, e deve sapere che esse possono avere una miriade di conseguenze tali da poter cambiare anche la persona, nella sua interiorità. Deciderà, parzialmente, le sorti del percorso che porterà, comunque, sembra, sempre alla sofferenza. Le miriadi di rotaie vitali dunque, percorse contemporaneamente da Nemo, cosciente di questa sua continua costante trasmigrazione, diventano l’espressione stessa dell’inconsistenza dell’essere umano, che può amare, odiare, morire, ma sarà sempre straordinariamente limitato nel suo percorso e non potrà mai capire “cos’altro avrebbe potuto fare”. Nemo lo sa, invece, benché l’esito delle sue esistenze sembri essere parimenti frustrante, in ogni caso. Cosa dunque lo spinge, nel 2092, a raccontare le sue storie di vita a un giornalista che pure è disorientato (come – si vorrebbe? – fosse lo spettatore)? Rievocare le sofferenze di tante vite? E soprattutto, se in ciascuna di esse, praticamente, lui muore, com’è possibile che si trovi lì in quel momento? Niente panico, ogni cosa avrà la sua risposta, cosicché adesso la vita dell’uomo sarà riconducibile a simmetrie perfette e sempre “non irrisolte”, chiarificatrici, esplicite, dannatamente irritanti. Per capire l’aria che si respira in questo Mr. Nobody potrebbe essere utile fare due paragoni, fra questo film e Inception di Christopher Nolan, e poi ancora fra il film di van Dormael e Cloud Atlas dei Wachowski e di Tom Tykwer. E si tratta in ogni caso di “fantascienza filosofica” che pretende anche di essere un blockbuster (forse Mr. Nobody in maniera solo apparentemente meno sfacciata). Inception razionalizzava il sogno, e questo costituiva il suo grande limite, perché poi era tutto dannatamente geniale e avvincente come il miglior Nolan. Anche in Mr. Nobody è tutto controllato, assiale, mai sproporzionato. Non basteranno mai stacchi improvvisi di inquadratura e un ostentato stream of consciousness per confondere (e dunque problematizzare) davvero, in quel caso si potrà recuperare il lynchiano INLAND EMPIRE. Qui invece vogliamo capire, vogliamo tenere nelle nostre mani questo intricato sistema di rotaie, perché questo ci consola, ci motiva. Così, tristemente, comprendiamo tutto, anche se il vero disorientamento è ammettere a se stessi che il film dura addirittura 2h e 35 minuti. E da qui si può anche dare inizio al paragone con Cloud Atlas, che aveva ambizioni molto simili: studiare e pensare il destino. Questa volta l’uguaglianza è anche qualitativa: i film sono entrambi mediocri esempi di come il cinema mainstream voglia parlare di esseri umani, individui prettamente morali, etici, e mai realmente dotati di psiche, di personalità. Entità vuote che vagano da un’inquadratura all’altra senza concedere mai il beneficio del dubbio, nell’insulsa velleità di un intrattenimento che vuole tingersi di riflessione profonda. È così che Jared Leto non solo è Nemo (nessuno) perché è uno ed anche centomila (Pirandello si sente sussurrante nel momento in cui la voce infantile parla di ruoli di Mamma, Papà e Bel Bimbo, al posto dei nomi propri), ma anche perché non è proprio “nessuno” a livello cinematografico. Che voglia essere una figura cava in cui incarnare le nostre aspettative spettatoriali? Non è proprio il caso, il suo personaggio non è un personaggio, è un corpo evanescente che vaga, e non nel senso buono, ché qui non si parla certo di nichilismo. Che voglia essere anche questo un obbiettivo? Ma allora tutta la struttura sentimentale di numerose sequenze crolla, e il film rivela la sua vera natura di opera cerebrale, cervellotica, geometrica e assolutamente consolatoria, a partire dalla catarsi finale che sembra una forzatura adottata magari in un momento di dubbio da parte degli sceneggiatori, per di più ambientata su un cerchio disegnato che neanche la Banca Mediolanum costruita intorno a te. L’argomento non ha più carisma di quanto potrebbe averne nell’orrida serie tv Touch di Tim Kring, e l’intera estetica del film ha pure un che di televisivo. L’interesse potrebbe pure sorgere quando, dopo due estenuanti ore, vediamo l’operato dell’Architetto (di cui non riveliamo l’identità, anche se sembra di stare dentro Matrix, c’è pure un faro di mezzo), quindi elicotteri che portano blocchi d’acqua a ricostruire il mare e varie altre macchine atte a ricostruire l’ordinaria illusione (Forse un mattino andando in un’aria di vetro), ma alla fine l’apatia dimostra che Mr. Nobody non è altro che una triste, arida e desolante lastra grigia di metallo luccicante.

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