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Lourdes

Regia di Jessica Hausner vedi scheda film

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Lehava

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La recensione su Lourdes

di Lehava
6 stelle

L’autore dovrebbe morire dopo aver scritto. Per non disturbare il cammino del testo." (Umberto Eco da “Postille a Il nome della rosa”

Sinceramente, non ho mai ben capito se Eco fosse serio o scherzasse, affermando ciò. Perchè l'assunto è per sé destabilizzante, conferendo al testo vita propria (“Il testo è lì e produce i propri effetti” Umberto Eco da “Postille a Il nome della rosa) ed alla critica un ruolo costruttivo dell'opera stessa. Come a dire, l'autore propone, al lettore il compito di strutturare un "senso". O più sensi, naturalmente, perché “un romanzo… è una macchina per generare interpretazioni” (Umberto Eco da “Postille a Il nome della rosa”). Come semiologo, saggista, filosofo, linguista potrebbe anche esserci sincerità e veridicità, in tutto ciò. Come romanziere un po' meno. Soprattutto, guardando a quella ironica parodia del complotto che è "Il pendolo di Foucault": quando l'interpretazione supera non solo l'opera (l'arte è sempre fittizia) ma addirittura elementi pseudo-oggettivi come fatti storici, numeri, misurazioni.

Qualche tempo fa, in una discussione privata, parlai di "poetica della critica", citando proprio quel passaggio di Eco. E riferendomi al cinema, perché un film altro non è che un romanzo in immagine.
Ognuno di noi porta con sé un bagaglio di natura e cultura, dal quale non può prescindere, nel momento in cui si approccia ad un'opera. Fortunatamente, l'arte ha sempre un margine di valutazione personale. E la percezione è frutto dell'oggetto ma anche del soggetto indagato. Non so, francamente, se la critica sia così strutturante e strutturata come afferma (sarcasticamente oppure no?) Eco. Di certo, la prospettiva del lettore, spettatore, ascoltatore è fondamentale. Tanto più l'autore riesce ad intercettare una prospettiva "comune" e condivisa, tanto più la sua produzione sarà apprezzata, al di là dell'analisi tecnica oggettiva.

Mi pareva una premessa essenziale, per spiegare, non so quanto compiutamente, il mio punto di vista rispetto a questa pellicola del 2009. Un punto di vista buio, inesistente. Le tre stelle non hanno qui un significato di "sufficienza" ma sono espressione piena di una "non-recensibilità", un mantenimento equilibrato fra minimo e massimo che è una equidistanza e cioè non-posizione. Perchè, se non c'è l'autore, dovrebbe esserci almeno un critico. E qui, invece, così non è.

"Lourdes" è un film che si connota, nella sua estetica, come "realista": una meticolosità nei primi/mezzi piani sugli attori quasi snervante, come a voler carpire tutto, pensieri e sentimento; una puntualità altrettanto irritante nel mostrare ogni dettaglio, anche il più insignificante e rozzo: la preparazione di Christine prima di andare a dormire, prima di immergersi nell'acqua, Christine che viene imboccata, Christine che mangia il gelato, Christine che posa per la foto-ricordo in sedia a rotelle, Christine che posa per la foto-ricordo in piedi appoggiata al suo bastone. Tutto è ripetizione, come giusto che sia, a Lourdes dove la messa è 24 ore su 24 in 20-30 lingue; dove infermi e sofferenti tornano spesso più volte, carichi del proprio bagaglio interiore di paure e speranze rifacendo la stessa fila alla stessa grotta; comprando la stessa acqua, gli stessi souvenir spazzatura, accompagnati dagli stessi volontari. Ma "realista" questo film lo è anche ontologicamente: esiste un senso alla vita? Che valore ha il dolore? Cos'è la fede? Alle domande esistenziali più complesse nessuno di noi ha una risposta certa. E "Lourdes" pare più interessato, appunto, a porre quesiti. Non, a dare responsi. Non c'è un fine, semplicemente perchè un fine non sappiamo se ci sia, in senso lato e non certo solo cinematografico. Messaggio? Quale? La Hausner ha un atteggiamento chiaramente agnostico. Sapientemente ma vacuamente descrittivo. Per riprendere Eco, possiamo affermare con certezza che lei sia simbolicamente morta ancor prima di nascere. Lo è nelle inquadrature fisse, lo è nella fotografia pulita che predilige gli interni e la luce artificiale; lo è in quella freddezza disturbante che tutto permea Il vuoto che viene proposto dovrebbe essere riempito qui dalla interpretazione critica. Personale, dello spettatore: l'ateo coglierà l'ironia; il credente la mistica collettiva; il tecnico la qualità; lo sprovveduto la lentezza; il malato la speranza; il sano ed equilibrato la riflessione sul dolore.
Ma se si fosse privi di tutto ciò? Se non si avessero le doti o capacità, di carattere e di cultura per riempire quel vuoto, che resterebbe di "Lourdes"? Tre stelle, o forse zero o forse cinque, su un sito di cinema. Una sequenza di immagini, silenzi, parole, musica.
Da credente non scorgo nessun sarcasmo. Eppure la mia fede è fiducia, non attesa. Non è ricerca di un segno, ma certezza che esso ci sia, che Lui sia, contro ogni logica o ragione. Perché essa "... consiste nella volontà di chi crede" (San Agostino da "De praedestinatione sanctorum"), ed è un evento totalmente interiore, una mistica privata. Il dolore può essere vissuto con rabbia, con distacco, con invidia. Ma anche con rassegnazione, addirittura con gioia. Lourdes è il kitsch consumistico del credo a basso costo emotivo. Per me, incomprensibile, e quindi non giudicabile. Ma è anche un'occasione di profonda introspezione laddove "Il Regno di Dio è dentro di noi" (Luca 17,21). E questo è totalmente assente nella pellicola. Lourdes è il viaggio nella sofferenza che fa piangere, che stordisce, ammutolisce, prosciuga l'anima. Ma è anche allegria: nello stare insieme, nel sorriso dell'altro che ci sorregge, nella speranza, nella gratitudine, nella condivisione, nel "vedere il mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvatico, tenere l'infinito nel palmo della mano e l'eternità in un'ora" (William Blake da "Presagi di Innocenza") che è proprio dei semplici e degli afflitti.
La fede, pure quella della non-fede, è per me passione. E’ la voce dell’anima. Che in “Lourdes” però è muta. Il suo silenzio riempito da Schubert e Bach, che solo il luogo (la chiesa) diversifica da Albano e Romina (la sala da ballo).
Non ho sufficiente competenza per poter analizzare la tecnica, ma neppure sono così sprovveduta da perdermi nella noia della piattezza. Non sono malata per annegarmi nella speranza, ma neppure abbastanza sana ed equilibrata per poter riflettere sul dolore.

In breve, non c’è in me né dote né capacità, di carattere e di cultura, per prendere una posizione su questo film. Tanto distante da rimanere una sequenza non ripetibile di immagini, silenzi, parole e musica in una calda sera d’estate.

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